M come Maternità - Buona festa della Mamma
“Ma le donne devono vivere- e vivono a tutti gli effetti- con la prospettiva del parto: a volte lo temono, altre lo desiderano, e alcune di loro lo superano tanto brillantemente da dare l’impressione di non averci pensato nemmeno per un attimo”
“Parto e maternità costituiscono l’incudine sulla quale è stata forgiata la disparità tra i sessi e le donne della nostra società, le cui responsabilità, aspettative ed esperienze sono pari a quelle degli uomini, hanno tutte le ragioni di avvicinarsi a quel momento con trepidazione. Le donne sono cambiate, ma la loro condizione biologica è rimasta inalterata. In questo senso, la maternità diventa una sorta di speciale finestra attraverso la quale è visibile la storia del nostro sesso, ma il cui vetro è assai fragile”
Puoi dire addio al sonno, Rachel Cusk
Ciao a tutte e tutti,
Come state?
Io vorrei rispondervi… Bene! Ma non è vero per niente.
Il nono mese si fa sentire e questa mail, che avrei voluto scrivervi con più anticipo, vi arriverà un pochino in ritardo perché- e questa è la prima lezione che baby cuore blu mi sta dando- da quando c’è lui io, per quanto possa ribellarmi, ho perso il controllo totale di me stessa, dei miei ritmi, dei miei tempi, di quello che posso e non posso fare.
Per prima cosa però voglio dire GRAZIE FLANEUSE!!!
Grazie a tutte quelle che c’erano e a chi ci ha seguite su instagram nell’ultimo appuntamento speciale delle passeggiate letterarie.
Ieri, per la prima volta (che meravigliosa conclusione!) abbiamo avuto come ospite uno scrittore “in carne ed ossa” e … vivo - negli appuntamenti precedenti abbiamo parlato di straordinari scrittori/personaggi ma tutti che non ci sono più purtroppo da Bianciardi a Buzzati passando per Camilla Cederna, Alda Merini, Mariangela Melato-.
Ad accompagnarci per il quartiere isola di Milano è stato Gian Andrea Cerone, autore del super giallo che ormai è entrato in tutte le classifiche Le notti senza sonno, storia ricca di suspance e molto molto avvincente in cui il commissario Mandelli si muove nella Milano contemporanea (una settimana prima del lockdown del 2020) per sciogliere due casi, uno che coinvolge donne assassinate brutalmente probabilmente da un serial killer e l’omicidio di un ricco gioielliere.
Il tutto in una Milano liquida, contraddittoria, stratificata, dove il presente si mescola al passato.
Oggi però vorrei parlarvi di “maternità”, che è un tema enorme e personalissimo. Universale e particolare.
Ognuna la vive a suo modo, ognuna ha la sua storia, le sue opinioni, il suo punto di vista.
Ma, volenti o nolenti, è un tema verso il quale ad un certo punto dobbiamo fare i conti.
Sia che l’abbiamo scelta che l’abbiamo rifiutata, sia che l’abbiamo desiderata, attesa, voluta o ci sia capitata.
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Provo a rispondere alle domande che so che mi farete (ovviamente se ne avete altre rispondetemi a questa mail o scrivetemi in DM):
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Se penso alla me di una festa della mamma fa, mi immagino incredula guardare questo suo alter ego a forma di ippopotamo un anno dopo.
Mai mi sarei aspettata di attraversare questo viaggio, iniziato 9 mesi fa.
In realtà nella mia testa, otto.
Era il 6 ottobre del 2021 – il giorno prima del mio 37ettesimo compleanno- quando ho preso in mano il test Clear Blu dicendomi “massì solo per escludere l’eventualità” dopo una settimana di narcolessia improvvisa, crescita inspiegabile del seno e senso di nausea al sentire anche solo l’odore del caffè.
Neanche 3 minuti dopo ero accasciata sul mobile del bagno con in mano il risultato “incinta 3+”.
Mi sono sentita immediatamente inadeguata rispetto ad ogni tipo di reazione che mi è capitata di vedere sui social, al cinema, raccontata da amiche.
Non c’era nessuna gioia che mi pervadeva, nessuna trasformazione magica, solo un moto di incredulità.
“Io? Ma come è possibile???”
Sono stata così, sotto shock, per almeno un mese. Di certo mi ha aiutata molto la reazione del mio compagno, per altro ad uno degli annunci di gravidanza più brutti e tristi che abbia mai sentito raccontare.
Gli ho mandato un messaggio whatsapp con scritto:
“Forse è meglio se vieni a Milano” (lui vive… anzi viveva… a Torino)
E la foto del test
Lui mi ha scritto “Wow”
Accogliendo così lo stravolgimento che ci avrebbe portato ad un percorso di avvicinamento, scelte, di presa in carico di un impegno necessario che, forse (ma dico forse perché non si sa mai come sarebbero andate le cose se…), ci ha portato a consolidarci anche come coppia.
Non vi nascondo che i primi mesi sono stati difficili.
In tante mi avete scritto DM di instagram in cui mi rivelati primi mesi particolarmente difficili.
Non si racconta quasi mai nel mondo fatato dei social, con i palloncini colorati e le foto delle ecografie. Ma i primi mesi di gravidanza, sia che si stesse cercando sia che sia capitato come nel mio caso, sono un film dell’orrore di ridefinizione della propria identità.
“Quando avete iniziato a sentirvi madri?”
Ha chiesto questa settimana la psicologa del corso preparto.
Le mie compagne hanno diligentemente e prontamente risposto “al primo calcetto, alla prima ecografia, ora che il parto si avvicina”
Io non lo so.
Non lo so ancora se mi sento “madre”. Ricordo però la difficoltà di accettare il mio status. Accogliere il mio cambiamento di stato.
Tra ottobre e dicembre, in quei tremendi primi tre mesi di nausee, stanchezza costante, il tuo corpo che si gonfia e nemmeno ti rendi conto, il mal di testa, il cambio di abitudini, mi pulsava costantemente la domanda
“Ma io, ora, cosa sono?”
Accettare una gravidanza non è un processo immediato. È un mutamento di identità profondissimo, forse il più traumatico che abbia mai vissuto.
Avviene tutto troppo in fretta.
Avviene senza che tu te ne renda conto.
Avviene senza poter avere alcun riferimento. Senti il tuo presente che si ribalta, ma non hai appigli per proiettarti nel futuro (almeno io non li ho, a meno che non imbandisci dentro di te la visioni idilliaca della mamma perfetta tutta allattamento e passeggiate)
Io fino a quel momento ero sempre stata “quella strana”
Quella che affrontava i Natali da sola
L’invitata ai matrimoni da inserire nel tavolo dei single e che passava il tempo a consolare i vicini rispetto ai loro progetti sentimentali naufragati.
Ero la zia curiosa che organizzava le vacanze con Avventure nel Mondo per esplorare il Medio Oriente.
Quella che diceva alle sue amiche con figli “Lo so che con il bimbo hai meno tempo però… cerca di ritargliati un momento per te”
E si prodigava per organizzare cenette e aperitivi “distogli – famiglia”
Dopo varie delusioni ero arrivata a quel punto della vita in cui avevo accolto con serenità il mio status di donna adulta senza un chiaro progetto familiare
Non lo escludevo, ma avevo accolto dentro di me la possibilità che non sarebbe successo
E in verità non ne facevo poi così una malattia.
Mi ero resa conto di quanto il malessere che potevo provare nelle feste coi parenti dipendesse tantissimo da “quello che si aspettano da te”.
Io avevo trovato il mio modo di essere contenta anche da sola.
Viaggiatrice solitaria
Che passava i sabati sera a scrivere tra le candele
Che si infilava nei bar ordinandosi un bicchiere di vino rosso.
Guardando “le coppie”, “le mamme” da un angolo privilegiato.
L’osservatrice silenziosa, che sentendosi poco coinvolta, riesce a dare il giusto consiglio.
Ora invece è tutto cambiato.
Ora sono io la donna con la pancia.
Quella che viene fatta sedere sul tram “Signora prego”
Quella che la società guarda col sorriso perché “genera la vita”
Ho notato moltissimo il cambio di prospettiva del “mondo” verso una donna incinta. Ti osservano con tenerezza, non sei più quella “sbagliata”.
Sei una donna nel momento che – tutti pensano- più importante della sua vita.
Nessuno potrebbe immaginare – o forse sì, forse voi che siete già mamme lo sapete bene- di quella profonda malinconia che una donna incinta può sentire nei confronti di se stessa.
Una malinconia che coincide con una sensazione strana, difficile da definire… che può essere raccontata come un “addio alla solitudine”.
Nelle prime sedute con la mia psicanalista dopo aver scoperto di essere incinta, la mia domanda principale era questa
Come faccio?
Come faccio a dire addio al mio stare da sola?
Lei mi rispondeva che ci sono nove mesi per prepararsi. Nove mesi in cui anche tu da donna indipendente, solitaria, organizzatrice di cene da sola, ti apparecchi per accogliere una vita che, a mano a mano che i mesi passano, senti sempre più tua.
Salutando piano piano quella versione di te stessa, di cui tanto eri affezionata, che badava solo a sé, al suo lavoro, alle sue ambizioni, gioie e tristezze.
Qualche settimana fa al master di counseling filosofico che sto frequentando, nel laboratorio di meditazione filosofica ci hanno chiesto di meditare sul nostro “progetto esistenziale”.
È un esercizio che vi consiglio… può essere molto doloroso ma ugualmente molto utile.
Sedetevi su una sedia, respirate in maniera regolare, rilassatevi e cercate di liberare la mente.
A quel punto provate a visualizzare quello che percepite come vostro “progetto esistenziale”. Apritevi alle suggestioni della mente, non mettetevi a organizzare, ma lasciatevi andare.
Pensate al lavoro, alla vita privata… vi renderete presto conto (è il vostro inconscio che lo fa) di quali sono i punti più chiari e quelli più oscuri, quelli più felici e quelli più dolorosi.
Lasciatevi andare alle immagini.
Una mia compagna di corso, per esempio meditando e meditando ha visto se stessa su un sentiero… e ha capito che il suo progetto esistenziale prima di passare attraverso forme di organizzazione della vita deve attraversare la conoscenza di se stessa.
Io ho visto il vuoto.
Non ho immaginato il mio bambino, non ho pensato a me stessa come madre, non mi sono visualizzata nelle pratiche tipiche della mamma perfetta.
La maternità annulla ogni forma di progettualità, ribalta le scelte, le volontà, le proiezioni.
È un big bang da cui in qualche modo si deve ripartire.
Ma per ripartire… ho capito che dobbiamo sempre domandarci il… cosa resta?
Cosa resta di me una volta che sarò madre?
Ho visualizzato una stanza.
Una stanza tutta per me come diceva Virginia Woolf e come ribatteva Simone De Beauvoir.
Una stanza piena di libri, una scrivania, un angolo in cui rifugiarmi.
Una stanza con una vetrata un cui riflettermi.
In cui la me stessa di domani guarderà quella di prima per ricordarsi costantemente chi è e che non è necessario, sempre, dover scegliere.
Tra il proprio bambino e se stessa.
Tra l’essere madre e l’essere donna.
Tra allattare e lavorare.
Tra la vita e i libri.
E saluterà la se stessa di prima - quella delle cene da sola, dei pianti una volta che, tornata da un viaggio, non trovava nessuno a casa ad accoglierla, quella solitaria, sbagliata, che al corso preparto preferiva seguire un corso di filosofia morale- sorridendole e pensando
“ehi, ma non siamo poi così diverse noi due”.
DI MATERNITA’ E LAVORO
Si è acceso un lungo dibattito su Instagram rispetto alle parole (assurde) di Elisabetta Franchi sulle assunzioni di donne over quaranta perché hanno già fatto figli.
Io non capisco per quale motivo ci si ostina a perseguire uno storytelling che contrappone l’essere madre all’essere una donna che lavora.
Al di là dei dati, delle responsabilità economiche delle aziende e dello stato, c’è una questione culturale che mi rendo conto, nel nostro paese, essere difficilissima da sradicare e che molte donne applicano su loro stesse: essere mamme frena e inibisce la propria spinta lavorativa.
Io credo – anche leggendo le storie che mi avete inviato in dm- che invece la maternità porti a scelte importanti in cui certi progetti di carriera mutano non solo per “colpa degli imprenditori” ma anche perché ci si rende conto che la vita “h24 in ufficio” non è vita.
E questo lo possono capire le mamme ma anche chi non ha figli ma semplicemente si rende conto che la felicità e le soddisfazioni stanno da un’altra parte.
Le giovani madri sono piene di vita, entusiasmo e spinta creativa che possono essere incanalate in forme di lavoro più fluide, flessibili, a progetto. Ecco perché in tantissime diventano “imprenditrici di loro stesse” (e il digitale offre molte possibilità in questo senso).
Ma la domanda è.. perché dobbiamo fare tutto da sole?
Perché dobbiamo ancora sopportare affermazioni del tipo
“vedrai cambierà tutto non potrai più fare/essere quello che facevi prima”
“il master? Ma sei pazza, ora sei mamma hai altre priorità”
O domande – che non farebbero MAI ad un padre-
“Come hai deciso di organizzarti per il lavoro?”
Oppure
“continuerai a lavorare?”
Di certo serve un cambio di passo economico, politico e sociale.
Ma continuo a pensare che le grandi rivoluzioni partono sempre dalla testa e dalla cultura. Iniziamo a raccontarci in maniera diversa. Difendiamo quello che siamo e cerchiamo di non entrare in nessuno stereotipo.
Prendendo le misure con quello che vogliamo davvero.
Se vuoi raccontarmi la tua storia scrivimi a flaneuse.milano@gmail.com
LIBRI SULLA MATERNITA’ CHE CONSIGLIO
Pregnancy comic Journal
Una storia vera, narrata con leggerezza, ironia e profondità, che dà a un'esperienza personale un respiro universale. Nell'immaginario collettivo, in tanti film e programmi televisivi, la maternità è sempre accolta con gioia e circondata da un'aura di serenità. Non è il caso di questo libro: una tragicomica cronaca a fumetti di quanto successo durante l'inaspettata gravidanza dell'autrice. Settimana dopo settimana, si sviluppa un'indagine su tutti i sentimenti, positivi e negativi, che accompagnano la gestazione, così come sui cambiamenti del corpo e sulla preparazione alla nascita di un figlio che una coppia di sprovveduti trentenni deve affrontare.
Puoi acquistare il libro a questo link
L'amore in più. Storia dell'amore materno (XVII-XX secolo)
Nel 1981 Elisabeth Badinter, femminista e filosofa fra le più famose al mondo, pubblicava un libro che avrebbe sconvolto il modo di pensare alla maternità e alla sua presunta condizione naturale. Badinter afferma una volta per tutte che essere madri non è innato e che non c'è nulla di naturale nell'esserlo. La storia degli ultimi secoli - che l'autrice ripercorre metodicamente, con ricchezza di documenti e di riferimenti culturali e letterari - ci rivela che la nozione di amore materno è evolutiva. L'amore materno è soltanto un sentimento umano. E come tutti i sentimenti è incerto, fragile e imperfetto. Può esistere o non esistere, esserci e sparire; non va dato per scontato. È, infatti, un "amore in più" nella felice definizione dell'autrice.
Puoi acquistare il libro a questo link
Linea nigra
Linea nigra comincia con la scoperta di una gravidanza e finisce con una madre che allatta suo figlio. Tra questi due estremi si snoda quel viaggio enigmatico, impervio e incredibile che è l’inizio della vita e che l’autrice ci fa percorrere attraverso il suo corpo, gli affetti e la letteratura. Grazie al suo spirito da collezionista, Jazmina Barrera richiama la lezione di alcune grandi scrittrici e artiste del passato: da Tina Modotti a Mary Shelley passando per Frida Kahlo, Ursula K. Le Guin, Virginia Woolf, Natalia Ginzburg e Margaret Atwood. Tutte queste voci, guidate e tenute insieme con grande perizia dall’autrice, riescono in un’impresa affascinante: fare della maternità un romanzo e donare a noi lettrici e lettori del XXI secolo un prezioso testo che guarda al futuro aiutandoci a decifrare un presente complesso.
Puo acquistare il libro a questo link
APPUNTAMENTI DELLA PROSSIMA SETTIMANA
Lunedì 9 maggio alle 19.45
In diretta con Valeria Locati @unapsicologaincitta per parlare di Zucchero Bruciato.
Tara è sempre stata una ribelle, contro tutto e tutti. Costretta a un matrimonio di convenienza, è scappata di casa, si è presa diversi amanti, ha vissuto a lungo insieme con un guru e si è persino ridotta a fare la mendicante. In tutto ciò, sua figlia Antara, per lei, è sempre stata un peso, una valigia da portarsi appresso e poco più. Però il tempo della ribellione di Tara adesso è finito; ha quasi sessant'anni e l'Alzheimer la sta consumando, a poco a poco ma inesorabilmente: lascia il fornello acceso per tutta la notte, dimentica le incombenze quotidiane, si ostina a telefonare ad amici morti da tempo. E non ricorda più i piccoli e grandi gesti crudeli nei confronti della figlia, che sono invece marchiati a fuoco nella memoria di Antara. Eppure, nonostante tutto, Antara si sente in dovere di occuparsi di quella madre che non si è mai presa cura di lei. E così, mentre la convivenza forzata la induce a ripercorrere le pagine più dolorose del suo passato, cerca di sbrogliare la matassa di tradimenti, riconciliazioni e rotture, e di sciogliere una volta per tutte il nodo di quel legame che ha forgiato il suo cammino, ma che adesso rischia di soffocarla. Con una prosa lucida e affilata come la lama di un rasoio, Avni Doshi scava tra le pieghe di quel rapporto unico che lega una madre e una figlia, mettendone in luce la complessità e le contraddizioni, ma anche tutta la forza e l'amore che lo contraddistingue.
Martedì 10 maggio alle 21
In diretta con Nadia Terranova parleremo del suo nuovo romanzo Trema la notte e anche di creatività e maternità.
28 dicembre 1908: il più devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo Messina e Reggio Calabria. Nadia Terranova attinge alla storia dello Stretto, il luogo mitico della sua scrittura, per raccontarci di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma più somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente. «C'è qualcosa di più forte del dolore, ed è l'abitudine». Lo sa bene l'undicenne Nicola, che passa ogni notte in cantina legato a un catafalco, e sogna di scappare da una madre vessatoria, la moglie del più grande produttore di bergamotto della Calabria. Dall'altra parte del mare, Barbara, arrivata in treno a Messina per assistere all'Aida, progetta, con tutta la ribellione dei suoi vent'anni, una fuga dal padre, che vuole farle sposare un uomo di cui non è innamorata. I loro desideri di libertà saranno esauditi, ma a un prezzo altissimo. La terra trema, e il mondo di Barbara e quello di Nicola si sbriciolano, letteralmente. Adesso che hanno perso tutto, entrambi rimpiangono la loro vecchia prigione. Adesso che sono soli, non possono che aggirarsi indifesi tra le rovine, in mezzo agli altri superstiti, finché il destino non li fa incontrare: per pochi istanti, ma così violenti che resteranno indelebili. In un modo primordiale, precosciente, i due saranno uniti per sempre.
Grazie anche per questa settimana!
Alla prossima,
Marta