Autenticità
Ciao a tutti e scusate per il ritardo della Newsletter,
ma un weekend al mese sono impegnata con il master in counseling filosofico e ho fatto il possibile...
Come state? Vi invito come sempre a rispondermi se l'argomento della newsletter vi stimola connessioni nel cervello. Mi arricchisce molto leggervi.
C’è una parola che mi frulla nella testa da parecchie settimane e perdonatemi se ripeterò una lettera.
A come autenticità.
Una parola che sentiamo ripetere quasi in maniera ossessiva. Il nuovo mantra contemporaneo.
Trova la tua autenticità, sii te stesso, comprenditi, agisci.
Schiere di psicologi si sono sperticate nel cercare di analizzare questo concetto, che è diventato un baluardo di ogni aspetto della nostra esistenza.
Sui social: sii autentico!
A casa tua da solo in mezzo alla pandemia: ricerca la tua autenticità!
Io mi sono posta spesso questa domanda e a modo mio ho cercato di perseguire una forma di autenticità che potessi esprimere in ogni ambito.
In realtà è partito tutto da mia madre.
“Quando racconterai quello che sei, allora diventerai interessante”.
Tenete presente che mia madre è una donna brianzola molto intelligente, ma non è di certo la classica madre che accoglie, sostiene e idolatra la propria progenie.
In tutta la mia vita, ogni volta che mi è andato male qualcosa, non mancava occasione di sottolineare quanto in fondo la responsabilità fosse mia.
“E certo Marta, se fai così, ovvio che ti lasciano”.
Oppure. Sul lavoro. Inizialmente non aveva alcun entusiasmo nel pensare che avessi deciso di dedicarmi al giornalismo e peggio che mai alla tv.
“Sei così brava… potevi fare una cosa utile. Potevi fare il medico”.
Mia madre è un’oscillazione tra opposti. Madre affettiva/ professoressa di italiano brianzola che rispetto ad ogni cosa che fai è pronta a segnare col rosso le tue mancanze.
Un atteggiamento che mi ha formata e plasmata.
La sua rigidità benevola non mi hai mai fatta sentire totalmente accolta e per questo costantemente in movimento.
Mi ha stimolata a dare di più, non “per avere successo”, ma per essere una persona migliore.
Anche quando la odiavo perché giudicava i miei atteggiamenti, anche quando agognavo una forma di comprensione e celebrazione.
Lei non me la dava. Perché non la meritavo.
Aveva ragione lei quando abbassando l’occhiale mi guardava storta come a dire “ok… ma non è questo che vuoi essere davvero”. E non c’entravano questioni formali (fidanzamenti, matrimoni, voti all’università). Mia madre probabilmente senza saperlo mi ha stimolata a raggiungere la mia ghianda, come direbbe James Hillman.
Non accontentandosi di vedere una versione della figlia che scimmiottava se stessa. Stimolandola con la sua disapprovazione a perfezionare il percorso, soprattutto interiore.
Lo capisco ora che ho 36 anni, di certo a 16 o a 26 la pensavo diversamente.
Ma si arriva ad un punto della vita in cui ci si rende conto di alcune cose (probabilmente non tutte, ma molte).
E se devo dare un senso, un’origine, una matrice della mia “autenticità”, ecco… vedo mia madre.
Che ci leggeva Peter Pan sotto le coperte quando andavamo (parlo al plurale perché ero con mio fratello- ho due fratelli, uno che ha quattro anni in meno di me e una sorella troppo giovane per essere menzionata, scherzo) all’asilo.
Che nei libri ha sempre ritrovato un significato delle cose, immagino anche molto di se stessa. E io, vedendo questa sua passione e questo suo costante desiderio di leggere e immergersi nelle storie, buttarci le sue malinconie e il suo sentirsi spezzata, l’ho emulata.
Ho voluto anche io comprendere quei poteri magici della lettura, io che comunque un po’ triste mi sentivo già alle elementari.
Emulando mia madre che in me ha sempre visto il mio lato migliore, la mia sensibilità che era la mia forza. Quell’intelligenza emotiva che ci ho messo molto, forse troppo, a capire che era la vera me. Ma le cose si capiscono spesso quando si cade per terra.
[Mia madre è sì stata la prof della mia vita ma è anche stata la donna che l’anno scorso quando non la smettevo di piangere e mi volevo buttare dalle ringhiere del loft mi rispondeva su whatsapp alle quattro del mattino per farmi sentire meglio. Ve lo dico perché non vi facciate idee strane.]
A 7 anni mi sentivo inadeguata. Sentimento che ho gelosamente conservato come chiave del mio essere nel mondo. Non sentirmi mai completamente a mio agio. Preferire le pagine al rapporto con l’altro. Non so quanto sia sano. Di certo è il mio paracadute esistenziale.
Ma dai libri all’ “autenticità” la questione si fa complessa.
Che cosa significa essere “autentici”.
Autentico deriva dal greco, authentikòs che significa agire “da sé medesimo” colui che ha autorità su se stesso.
Che cosa significa davvero “autenticità”?
Nel film che continuo a citare e che non mi è piaciuto, ovvero Malcolm e Marie i due dibattono sul senso dell’autenticità dell’opera d’arte. Che cosa rende un’opera autentica e una no? Che racconti la verità dell’autore? Che l’autore abbia veramente vissuto quello che vuole raccontare? E se si appropria delle sofferenze degli altri e le racconta… è un’opera autentica o no?
Partiamo da noi.
Quando ci sentiamo... autentici? Probabilmente quando sentiamo di non mentire a noi stessi.
La mia psicanalista odia il termine “autenticità”. Mi fa dire “sentirmi al mio posto, sentirmi a mio agio”.
Ne parlavamo nell’ultima seduta quando le dicevo “forse mi sento veramente autentica quando sono sola e scrivo”.
Sul tema autenticità ho letto questo bell’articolo di Annamaria Testa, che mi piace sempre.
Sembra che, per gli psicologi e per diversi filosofi del novecento, l’essere “autentici” abbia a che fare con il mantenere uno stretto contatto con i propri valori, con le proprie esperienze, con la propria storia personale, con i propri desideri. E nel comportarsi di conseguenza, a prescindere da quanto forte sia la pressione sociale a conformarsi. In sostanza, e per dirla in modo molto, molto sbrigativo, tra autentico e inautentico correrebbe lo stesso discrimine che c’è tra profondo e superficiale, tra interiore ed esteriore, originale/creativo e artefatto/stereotipato. E tra sincero e insincero.
La Testa cita questa bella ricerca di due psicologi Kernis e Goldman che sono due psicologi che però nella ricerca citano moltissimi filosofi (Aristotele, Cartesio, Nietzsche, Kirkegaard, Sartre, Heidegger) che se vi interessa la filosofia e se sapete l’inglese vi consiglio di leggervi.
A questa aggiungo altre due suggestioni.
La prima arriva da Karl Jaspers (che vive in Germania nella prima metà del novecento) che è considerato il fondatore dell’esistenzialismo (tema su cui rimarremo per un mesetto attraversando la nostra Simone De Beauvoir). Per lui l’autenticità sta in ciò che si deve realizzare “il mio esserci non è esistenza, ma l’uomo, è nell’esserci possibile esistenza”.
Il primo punto è: si è autentici se si esiste, ovvero si supera il proprio essere e ci si butta nel mondo.
E come si esiste? Scegliendo ed esercitando la propria libertà.
Che va esercitata nella responsabilità di se stessi. In sostanza… si è autentici quando si esercitano delle scelte che manifestano il nostro io. Che deve essere fedele a se stesso. E come si è fedeli a noi stessi? Lo siamo in relazione al nostro passato, alle nostre radici e a chi siamo. Ma dobbiamo, di volta in volta, decidere all’interno della situazione nella quale siamo immersi.
Perché noi cambiamo, le situazioni cambiano, ma la nostra “autenticità” ci accompagna.
Anche Simone parla a lungo di autenticità che è comunque un tema molto caro all’esistenzialismo. In “Per una morale ambigua” (che vi ho già citato e vi consiglio di leggere) lei sostiene che si è autentici solo nella vita adulta e lo si è perseguendo una libertà autentica.
Ne parleremo meglio nelle nostre dirette (Lunedì 22 abbiamo Maria Russo), ma in estrema sintesi: il fine dell’uomo è essere libero. Esistere nella libertà e per la libertà dell’altro perseguendo dei fini che non siano fuori di lui (soldi, fama, gloria- anche l’amore appassionato: Simone dice che l’amore è autentico solo se rispetta l’esistenza dell’altro. L’uomo appassionato vuole invece possedere nel suo essere – quindi nella sua totalità- l’amata.. quello è possesso non è autentico amore), ma dentro di sé (migliorarsi, creare, raggiungere un grado di “sapienza”, amare con rispetto…).
Anche Ludovico Geymonat ha detto una cosa bella sull’autenticità.
L’esistenza autentica è sempre basata sulla singolarità. E nella singolarità si apre un ventaglio di possibilità tra le quali deve scegliere.
In sostanza essere autentici significa sentirci in linea con il noi più profondo che però è difficilissimo da definire.
Scendendo dalla cattedra di filosofia (che non posso occupare… non solo non sono una psicoterapeuta ma non sono manco una filosofa, sto però seguendo un bellissimo master di counseling filosofico) e tornando alla vita, penso che questa definizione di “autenticità” sia come spesso accade una bella domanda da porsi.
Perché in me, non so a voi, la parola “autentico” stimola più intuizioni che definizioni.
Non saprei dirvi perché una persona mi “risulta autentica”. Lo vedo e basta. Lo vedo dalla passione e dal significato che mette nel suo lavoro, lo vedo dalle scelte che ha compiuto (tipo sposarsi per un grande amore e tenere in piedi una coppia che funziona e non lasciarsi travolgere dalla noia per non scardinare equilibri sociali). Lo vedo dal suo modo di essere nel mondo, nella capacità di ascolto, nel ponderare le scelte, nel non lamentarsi a sproposito. Nella coerenza delle sue azioni.
Non so se sia un criterio corretto, per questo cerco le risposte dei grandi filosofi… ma anche nell’arte è così.
Si intuisce quando un’opera è autentica perché risponde ad un bisogno dell’autore (e chissenefrega se la storia è sua o non sua). Perché in quello che scrive o porta sul grande schermo ha un significato che ti si butta addosso.
E ti si butta addosso perché è vero.
Non è sempre facile sentirsi “autentici”.
Non so dove leggevo che è molto più semplice essere autentici quando ci si sente bene, appagati, amati e considerati.
Quando si è tristi, sbarellati, un po’ sghembi perché la vita nonostante tutto è una fatica pazzesca è molto più difficile centrarsi e camminare dritti.
Ci sono stati momenti, e ci sono ancora, in cui mi sento talmente triste e svalutata che me ne frego della mia autenticità. Che dico: massì scelgo a caso, agisco a caso, sfogo la rabbia, mi lascio andare.
Urlo.
E mi domando se anche scivolare non sia una forma di coerenza con noi stessi.
Cadere per terra, rotolarci, struggerci.
Però dura un attimo. E dura un attimo perché… non sto bene.
E se si scivola troppo si rischia di alimentare i propri pensieri negativi in un sadismo verso noi stessi che fa solo del male a noi e di certo non migliora la nostra immagine agli occhi degli altri (e anche allo specchio).
Quindi anche quando sono triste e arrabbiata e vorrei spaccare tutto e fregarmene delle azioni che manifestano il mio io, penso a Martha Nussbaum (L’intelligenza delle emozioni lo trovate qui) che ti ricorda che i sentimenti negativi fanno male. E che non è che bisogna evitarli perché siamo dei santoni zen, ma perché non servono a niente.
E non sono in linea con i miei valori, qualsiasi cosa significhi (sui valori capitolo a parte … voi sapreste fare l’elenco di tutti i vostri valori?).
In buona sostanza… cerco di comportarmi bene secondo quello che per me significa, rispettando gli altri e me stessa.
Ricordandomi che io valgo per me, che le cause e i fini della mia esistenza stanno dentro di me e mai nell’altro. Che migliorarsi e studiare e avere la tenacia di perseguire i propri sogni (come Virginia e come Simone che non stavano sul letto a fantasticare ma sulle scrivanie a battere a macchina) è un bel modo di sentirsi vivi. Che agire verso l’altro (che non è necessariamente un partner), con amore e passione è una fonte di significato.
Dunque un significato nuovo di questa parola, dell’autenticità è che nonostante intorno ci sia poco da esaltarsi e la vita a volte ci pone di fronte a delusioni a ripetizione (a me ultimamente sta capitando così, lo condivido che mal comune…) cerchiamo sempre di agire con consapevolezza. Facciamoci del bene e ispiriamo il bene. È l’unica cosa che con ottimismo intelligente… nessuno ci può togliere.
Buona settimana da me e Marcy