Brunori, le canzoni dei padri e le mamme che cambiano pannolini
Provo ad imbarcarmi in un discorso complesso, che però mi rimbalza nella testa e quando le cose mi rimbalzano le testa è bene che gli dia una forma perché altrimenti perdo pezzi.
Ho provato a farlo nello spazio di un carosello instragram, ma non si riesce. Si rischia di banalizzare troppo una questione ampia che potrei riassumere così: perché diamine solo i padri ultimamente romanticizzano la paternità? Perché le mamme non scrivono canzoni sulle mamme?
Si è parlato molto -credo a ragione- della romanticizzazione della malattia di Simone Cristicchi, nessuno ha detto nulla su Brunori. Perché in effetti c’è poco da dire.
È una bella canzone. Non la sua migliore a mio avviso, ma forse la mia è l’opinione di una che lo ascolta da 20 anni e quindi “quello che c’era prima” e che forse si conosce meglio, risulta più bello anche perché legato alla mia giovinezza.
Fatto sta. Brunori ha scritto una canzone sul cuore che diventa grande e assume nuove forme nella paternità.
Il video fa sbrodolare di lacrime e per quei due minuti e mezzo ti senti fortunato ad essere genitore perché capisci esattamente a cosa si riferisca.
Prima di avere figli anche io pensavo che per me sarebbe stato impossibile contenere quell’amore che è anche paura, fatica, frustrazione, incapacità di controllo. È quell’amore che ti costringe a stringere un patto che ti vincola per tutta la vita: sai che la tua felicità irrimediabilmente dipenderà da quella di quell’altro essere che hai messo al mondo (sbaglio: la genitorialità per me è quando ti assumi la responsabilità totale rispetto ad un altro essere umano, che tu l’abbia generato o meno).
E se già è difficile cercare serenità da soli, figurarsi quando entra quest’altro soggetto assolutizzante in campo.
Fa paurissima. Altro che film horror.
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