F COME FAMIGLIA - SPECIALE DA VENEZIA
La famiglia è la culla della disinformazione mondiale
Don De Lillo “Rumore Bianco”
Care e cari,
bentrovati!
Che bello essere di nuovo qui in questo spazio di confronto e dialogo.
Come è andata l’estate?
Vi siete riposate (e riposati)? Vi siete divertiti? Avete riflettuto?
Per me è stata, come sapete, un’estate un po’ particolare… il mio bimbo è nato il 6 Giugno e tra primi mesi, puerperio, prove di allattamento, lui sempre insonne, io distrutta almeno fino alla fine di luglio (poi è andata meglio) non so se posso parlare di vere e proprie “vacanze”.
Di certo in questi tre mesi è nata una “me” diversa.
La me “mamma” che ancora non so definire né inquadrare, ma so che si sta formando dentro di me giorno dopo giorno. (e sarà continuamente in evoluzione)
A VENEZIA COL BEBE’
Fino a domenica sono alla Mostra del cinema di Venezia. Quest’anno è stato complicato scegliere se venire oppure no, con baby Orlando da accudire, le notti insonni e le ninne nanne. Alla fine ho deciso di passare di qui comunque qualche giorno.
Uno dei primi effetti della maternità è stato notare quanto l’anno scorso mi pesassero le proiezioni delle 8.30 (mi sembrava l’alba) e quanto ora per me le 8.30 del mattino siano ormai un orario della giornata inoltrato (questa mattina Orlando si è svegliato alle 5 per dire… sono stata la prima -insieme alle maschere- ad arrivare in sala).
Non voglio parlarvi di maternità per tutta la newsletter, vi ho promesso che ci saremmo concentrati sulla Mostra del Cinema, però devo dire che Barbera ci mette lo zampino facendomi trovare una borsa del festival color senape “cacca di bimbo” (che è un bellissimo colore, l’odore molto meno…) e come film di apertura Rumore Bianco… che è il rumore in sottofondo che sto sentendo ora mentre Orlando prova a dormire (oggi è insonne… sarà l’aria del Lido.. vuole buttarsi sul red carpet con le star).
Rumore bianco è il film attesissimo firmato da Noah Baumbach con Adam Driver e Greta Gerwig.
E’ in concorso (ovvero fa parte della selezione dei film che concorrono per il Leone d’oro) e apre la Mostra portando in laguna un po’ di glamour (Baumbach e Adam Driver erano già stati insieme qui per Marriage Story nel 2019… stupendissimo film che non vinse nulla).
Io devo ammettere che attendevo il film con grande entusiasmo e anche un po’ di timore (perché non è per niente facile portare Don DeLillo al cinema).
La pellicola è tratta dal capolavoro di Don DeLillo del 1985.
DeLillo è considerato il profeta e cantore dell’America di oggi, che ha saputo declinare in maniera letteraria, problematiche sociali e idiosincrasie contemporanee.
Consumismo, alienazione, disgregazione dell’identità, tecnologia, morte: Don DeLillo nei suoi romanzi ha la capacità di fondere l’ambito personale a quello sociale.
L’intimità delle narrazioni incontra l’ampio spettro delle tematiche, che vengono enfatizzate da uno stile ironico, che gioca con la satira e la critica sociale.
I suoi personaggi parlano con franchezza al lettore, si aprono, mostrano le increspature, lo fanno non prendendo le misure da loro stessi ma trasformando le narrazioni in lunghe confessioni inconsapevoli dove non ci sono “evoluzioni del personaggio” imposte dall’esterno di un narratore onnisciente, ma seguono il flusso dell’assurdità della vita.
(In questo senso viene definito un autore “postmoderno” aggettivo che lui però non ama particolarmente).
In Rumore Bianco, il protagonista è Jack Gladney è un professore di studi hitleriani presso il College- on- the-hill, università di provincia dell’America del nord.
La prima parte del romanzo è una cronaca dell’assurdo di una famiglia borghese (quella di Jack) degli Stati Uniti di provincia di metà anni ’80, tra consumismo esagerato (rappresentato nel film di Baumbach con un gigantesco supermercato) e la superficialità di un mondo accademico ossessionato dalla cultura pop (in un famoso passaggio riportato anche nel film Hitler viene paragonato ad Elvis: in fondo entrambe sono due icone che hanno plasmato l’immaginario contemporaneo, tra successo e grande caduta).
La sovrabbondanza fa da contraltare alla paura più grande dei personaggi (che è il più grande tabù del contemporaneo): la morte.
Rumore Bianco è un grande affresco sull’ineluttabilità della morte, nonostante gli esseri umani cerchino di pensarci il meno possibile, affogando nelle cose, nelle droghe, nelle “finte informazioni”.
Jack deve fare i conti con lei nella seconda parte del romanzo (e del film) quando una nube chimica tossica invade il suo tranquillo quartiere a causa di un incidente.
E, nella terza parte, si tirano le fila – tra paure, idiosincrasie, menzogne e verità- nel luogo del non detto per eccellenza: la famiglia.
Baumbach è stato bravissimo a trasporre il romanzo mettendosi sulla stessa linea d’onda di De Lillo.
Gli è suonato “familiare” ha detto in conferenza stampa.
Nella prima parte il film gioca con l’assurdo e le immagini, nella seconda si trasforma in un action sgangherato, nella terza in un thriller psicologico.
È un film lungo (più di due ore) ma, come il libro, il ritmo è alto. Lo spettatore viene calato nel “rumore bianco” delle vite dei protagonisti: quell’assurdità di rincorrere il tutto e il nulla, nello stordimento del troppo che diventa il frastuono in cui confondersi.
C’è un lieto fine, che non vi svelo.
Che sta più nelle persone che in quello che dicono ( o fanno).
F COME FAMIGLIA
Il titolo di questa newsletter F come Famiglia, perché famiglia è il termine che mi sta rincorrendo da giugno a questa parte.
E più mi rincorre più – come spesso mi accade, forse perché è quando le parole ti ossessionano che ci si fa caso- leggo romanzi e vedo film che ne parlano.
In Rumore Bianco la famiglia è il luogo delle informazioni sbagliate (di cui ci si convince perché si rimane nel proprio bozzolo senza desiderare più di guardare fuori) ma che si trasforma, in ultima analisi, nel territorio della verità e della speranza (vera o presunta).
In “Una famiglia moderna”, uno dei romanzi che ho letto in vacanza (ne parlo in questo video) è il territorio delle certezze che possono crollare all’improvviso.
Io ero convinta che fosse il luogo della morte dell’indipendenza. Non ho mai creduto nella retorica della “famiglia tradizionale”. Nell’idea secondo la quale “farsi una famiglia” fosse l’unico salvacondotto per la felicità.
Un tempo era una necessità sociale, oggi è un’idea a cui ci siamo abituati e una scelta ed, essendo tale, va difesa. Come succede per la maternità… essendo non più un dovere sociale e morale, deve per forza essere raccontata come il territorio dell’unica felicità possibile.
Non è così: non si è necessariamente infelici se si è soli e non si è necessariamente felici se madri.
Io ad una famiglia non ci avevo mai davvero pensato.
Quando penso al mio compagno, a Orlando e Marcello penso più ad un team.
La mia squadra preziosa.
Non so dargli un senso e una definizione. So che ci sono e sono la cosa più importante.
Per te cos’è la famiglia?
Rispondimi a questa mail, raccoglierò le risposte in un prossimo appuntamento!
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Da Venezia vi scriverò tutti i giorni da qui a domenica!!!
Un abbraccio a tutti,
Marta