I selfie e gli alberi di Natale
Also London itself perpetually attracts, simulates, gives me a play and a story and a poem, without any trouble, save that of moving my legs through the streets.
Virginia Woolf, Diary 31 May 1928
Ciao a tutti e bentrovati…
Questa è la newsletter numero 10.
Come passa il tempo quando ci si diverte!
Vi devo ringraziare per la vicinanza e l’affetto che mi dimostrate, per le parole che mi scrivete, per come avete deciso di accogliere ogni mio progetto delirante. Dalle newsletter alle #challenge.
Con questa newsletter, numero 10, vi invito a raccontare voi la vostra storia.
Tra le cose che abbiamo detto, fatto, letto e raccontato insieme... che cosa vi ha colpito di più? Che pensieri vi ha suscitato?
Che effetto vi ha fatto leggere Dostoevskij o uno dei tanti altri romanzi o saggi che abbiamo attraversato in questi mesi?
Io sento l’esigenza di svuotarmi e riconnettermi. Ristabilire un rapporto con una me che è cambiamento e mutazione.
Questa settimana sono tornata su un treno (per lavoro, lo specifico perché di questi tempi non si sa mai). Sono stata a Firenze per condurre degli eventi di un festival che presto vi condividerò online (due interviste molto interessanti una a Laura Imai Messina che mi ha conquistata con la sua conoscenza della cultura giapponese- ne parleremo-, l’altra a Giancarlo De Cataldo).
Due giorni praticamente chiusa in hotel o in un teatro a parlare con dei televisori (gli scrittori erano in collegamento). La bellezza del Duomo di Firenze e del suo Battistero, così pieni di storia, di arte, di grazia. Quella maestosità che commuove. Quella maestosità che ti ricorda che il tempo passa, ma la solidità rimane.
Ho camminato, anche.
Camminare mi fa sempre bene, mette in moto il cervello, schiarisce le idee, crea collegamenti (tante donne intelligenti hanno fatto del camminare la loro dimensione dell’esistenza… come Virginia Woolf) con questa canzone nelle orecchie mentre guardavo le persone in mascherina che si facevano i selfie di fronte all’albero di Natale.
E io che mi ero arginata dentro alla mia corazza della solitudine e del cercare di non lamentarmi e settare il mio mindset verso l’accoglimento del presente, sono crollata nella malinconia.
Mi è mancato il mondo di prima.
Quel mondo fatto di gente ammassata di fronte alle luci – ma perché farsi la foto davanti agli alberi di Natale, vengono sempre troppo buie, l’albero non si vede mai a meno che non le fai dal basso e dal basso sembriamo tutti più brutti, mi domandavo-, nei negozi, a prendere il caffè quando ti ritrovi di fronte una bionda col chihuahua un braccio (che non me ne vogliano le bionde e i chihuahua) che bloccano la fila ordinando “un macchiato lungo con latte di soia e un po’ d’acqua a parte”. Quel mondo fatto di scuse da inventarsi per liberarsi da aperitivi e cene natalizie a cui non hai nessuna voglia di partecipare.
Mi è mancato vedere gli abbracci, sentire l’odore dell’alito degli altri nei mezzi pubblici.
Il camminare veloce tenendo la musica nelle orecchie per non sentire il rumore degli altri.
Perché in questo mondo nuovo è cambiato anche questo… il rumore delle cose.
Per strada siamo più silenziosi, meno gioiosi, consapevoli che quello che potrebbe uscire è solo un rammarico o rabbia o paura.
Ce ne stiamo zitti, accettiamo questo Natale diverso, sforzandoci di sorridere di fronte ai nostri bambini (vi vedo mamme anche se io non lo sono e immagino quanta fatica si possa fare). Ostentando sicurezza.
Alle 18 sono rientrata in hotel e mi sono seduta al bar (lì si poteva). Ero sola con la mascherina. Ho ordinato un bicchiere di vino rosso (ormai ho sdoganato la mia passione per i vini, non abbiatemene) e mi sono messa a chiacchierare con la receptionist e la ragazza che mi ha servito il vino.
Le conversazioni in questo periodo sono sempre un po’ asfittiche.
Come stai
E come si deve stare
Gli hotel sono vuoti
Lei è l’unica cliente
Abbiamo comunque fatto l’albero di Natale, sa.
Almeno per dare un po’ di allegria
Speriamo finisca presto
E allora ho pensato a Virginia Woolf e alla sua passione nel camminare per le strade di Londra in un periodo storico dove se eri donna e te ne andavi in giro da sola era guardata con sospetto.
Ho pensato a lei, mentre camminava e incrociava sconosciuti e si faceva guidare dall’immaginazione per inventarne una storia. A partire dallo sguardo, dal modo di fare, da una cosa detta per caso.
E ho pensato che in questo mondo nuovo ci stanno rubando anche questo. Le storie degli altri.
Che diventano troppo simili alle nostre per risultare interessanti.
Non le vogliamo ascoltare. Figurati se vorremmo leggerle.
E allora quel che ci resta è rimanere attaccati alla nostra di storia, riempirla di quello che ci piace. Di intuizioni, idee, parole e vite degli altri.
Di questo sento ora il bisogno, di concentrarmi su di me attraverso le parole degli altri.
E mi scuso se in questa newsletter ci sono più domande che tentativi di ricerca della verità (come direbbe Virginia), ma sento la necessità di studiare e riconnettermi. Trovare nuovi spunti.
Camminare.
Andare oltre.
Vi abbraccio,
Marta