Il potere delle storie
“La solitudine non l’ho mai sentita nemica, e mai ho provato ad amare per scamparla, ma, se non voluta, può essere la più crudele tra le prigionie. Non cerco presenza fissa al mio fianco, mi servo dei gesti dei più piccoli fra i piccoli, del verso del Gufo, dello scodinzolio del Cane, della visita della Volpe, attenzioni che mi sottraggono alla pena peggiore, quella di non contare per nessuno.”
Lorenzo Marone - La donna degli alberi
Inizio da questa frase di Lorenzo Marone e di quel bellissimo romanzo che ha scritto (per vedere la diretta guarda qui) per introdurre questa Newsletter che in qualche modo si lega a quella precedente. Mi avete scritto in moltissimi per raccontarmi le vostre solitudini. Il vostro “sentirvi soli” anche in mezzo a molte persone. Il vostro sentirvi soli in un momento che ci costringe a richiuderci in noi stessi, fare i conti con il nostro “pozzo”, espressione di Natalia Ginzburg in un racconto che Annalena Benini (per vedere la diretta qui) ha inserito nella raccolta, stupenda, I racconti delle donne.
“Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano di avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con grandi cappelli e bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante.”
Inizio a pensare che ci sia qualcosa che strettamente connetta questo pozzo, con la solitudine e la solitudine con la letteratura.
Pozzo, inteso come quello spazio nero in cui- come scriveva Alba de Cespedes in risposta a Natalia- “troviamo la nostra forza. Poichè ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano”.
I libri sono questo: la nostra connessione con il pozzo. Perché leggiamo? Per essere buttati dentro e per poi venire a galla. Feriti, sanguinanti, mezzi rotti, ma con più strati. Io quando leggo dei romanzi o dei saggi che mi aprono ferite, mi sento di aver acquisito uno strato nuovo, che prima non conoscevo.
A volte penso che se non li avessi scoperti, tutti questi strati, avrei avuto una vita più semplice. Mi sarei fatta meno domande, forse. Ma sarei stata di certo un essere umano meno completo. O meglio, non sarei stata di certo la persona che sono ora.
Nella sua bellissima diretta, Paolo Nori, esperto di Letteratura russa oltre che brillante scrittore, se ci pensate non ci ha detto una cosa molto diversa. “Leggo i russi perché quando a 15 anni ho letto Delitto e Castigo, nel momento in cui Raskolnikov, ex studente di provincia a Sanpietroburgo, si domanda… “sono come un insetto o sono come Napoleone?” il mio io 15enne si è rivolto quella domanda lì e quella domanda lì mi ha fatto male. E quella domanda lì ha aperto una ferita che sanguina ancora … il valore dei libri russi sta nel fatto… che fanno più male.”
Ho iniziato a pensare ai libri che mi avevano fatto male. Che mi avevano aperto ferite o quesiti che ancora oggi non sono riuscita a risolvere.
Più avanti vi faccio un elenco - che porterò avanti nel corso delle newsletter- dei libri che mi hanno ferita. Se avete voglia condividetemi il vostro.
Concludo però con un’osservazione.
Sul pozzo, la realtà e i libri.
Zadie Smith nella sua presentazione, a Bookcity ha detto di aver deciso di scrivere Questa strana e incontenibile stagione, un saggio arrivato di getto durante la quarantena, per dimostrare che si può vedere il reale anche attraverso un altro punto di vista, rispetto a quello delle news.
Per lei la narrativa “deve confrontarsi con il reale, ma deve raccontare una storia che emoziona e che fa perdere la testa”.
Io l’ho sempre pensata così. Mi sono sempre sentita una specie di super eroina capace di guardare il mondo con occhiali speciali. Il filtro “storie” (prima che diventassero i 15 secondi su Instagram). Guardando anche con po’ di sospetto chi non condivideva questo filtro con me.
Io capisco la verità, grazie ai libri.
Io scendo in profondità.
Io non lo so chi sono ma almeno cerco di capirlo.
“Nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l’essere umano” dice Jonathan Gottschall in quel bellissimo saggio che è L’istinto di narrare.
Ma se invece questo super potere … non fosse una enorme limitazione?
Qualche mese fa ho letto La confessione di Jessie Burton che è un libro sulla scrittura e sulla lettura. Sulla distanza che si frappone tra vita che ci raccontiamo di aver vissuto, quella che raccontano i libri e la realtà. La protagonista Rose è una ragazza di trentaquattro anni che non ha mai conosciuto sua madre, Elise. Dietro la vita di questa donna c’è un mistero, legato ai libri a una scrittrice. Un giorno il padre di Rose le consegna due romanzi.
L’autrice si chiama Costance Holden, è stata molto famosa negli anni ’80, poi ha smesso di scrivere. “E’ stata l’ultima persona che ha visto Elise”, dice l’uomo a Rose che si mette sulle tracce della donna per ricercare la verità in un cortocircuito tra passato e presente, tra libri e vita vissuta.
“ero convinta che gli scrittori mettessero se stessi nei romanzi che per quanto distorcessero l’idea originale dandole una nuova forma, continuava a esservi un fondo di verità” dice Rose.
Rose ricerca la vita di sua madre nei libri di Constance ma non la trova e quando a un certo punto incontra ed entra in contatto con la scrittrice rimarrà nuovamente delusa.
“Distorco tutto- dice Costance parlando del suo rapporto con i libri- il fatto di essere una persona priva di fede, a parte quella nella cultura e nell’arte- nella narrativa nello specifico- non ti rende una persona migliore di chi non legge i libri. Per certi versi fa di te una persona terrificante. O terrorizzata. Dipende dalle giornate . Non è una rinuncia alla realtà alla fine? Una persona che ha bisogno di vedere un attore piangere lacrime da coccodrillo per capire la profondità del dolore, una persona che ha bisogno di una poesia d’amore per avvicinarsi ai sentimenti potrebbe avere difficoltà a vivere nel mondo reale. Potremmo dire che ha delle carenze.”
Io non la so dare la risposta. Se mentre leggevo Moravia o Sandor Marai o Maupassant o Virginia Woolf a 15/16 anni non mi fossi domanda “che potere hanno le illusioni sulla nostra vita? Dove sta, davvero, lo scarto tra desiderio, ambizione e “quello che si deve fare perché gli altri si aspettano che tu lo faccia”?" forse avrei vissuto una vita più facile.
Avrei accettato con meno inquietudine le scelte. Avrei accolto con serenità le “cose che devono andare per come devono andare”. Avrei goduto di più dei miei successi senza metterli ogni volta in dubbio. Avrei amato con meno sospetto. Mi sarei fidata degli altri senza intuirne ogni volta i lati oscuri. Avrei evitato di condurre, questi altri, nei miei, di lati oscuri.
Però c’è una cosa che penso.
Sebbene l’ipotesi di una vita meno macinata dalla mia attività cerebrale un po’ mi alletti, non la vorrei.
Se sono riuscita a confrontarmi non con i miei successi ma con i miei fallimenti trovando il modo di superarli, se ho attraversato il dolore cercando di farmene qualcosa, se in ogni cosa che dico e che faccio ci metto tutta l’autenticità (e la sofferenza, e la fatica, e la disciplina) che posso… ecco tutto questo lo devo ai libri.
Che mi hanno insegnato il potere del desiderio, il dolore delle ferite, la necessità di ricercare la verità anche se all’apparenza non la si ritrova e non è detto che la si possa scorgere.
Che mi hanno fatto capire che a volte è impossibile andare oltre i propri limiti. E che se ci provi può essere che tu venga distrutto (un po’ come Raskolnikov….).
Se ora ho raggiunto una stabilità con me stessa è successo dopo che ho messo in dubbio ogni pezzo di me… l’ho analizzato, filtrato, definito, chiamato con un nome.
E quando mi succederà ancora, perché succederà ancora, di sentirmi imprigionata nel pozzo, avrò ancora più forza per uscirne fuori.
Scaviamo fino a perderci nel pozzo… è un rischio, ma almeno avremo la certezza di aver vissuto.
Se Edward non poteva vivere senza scrivere, lei non poteva vivere senza leggere. E se non ci fossi io, caro Edward, dice Susan, tu non avresti ragione di esistere. Lui era una trasmittente che operava consumando le proprie risorse; lei era una ricevente, e più riceveva più si caricava. Susan poteva affrontare il caos che aveva nella mente coltivandolo mediante le articolazioni mentali altrui, cioè con la lettura, un’attività che aveva praticato per tutta la vita e grazie alla quale aveva potuto creare l’interessante architettura, l’interessante geografia del proprio io.
(TONY E SUSAN di Austin Wright, ne parlo in questa IGTV, è il romanzo da cui è tratto il film stupendo di Tom Ford “Animali notturni”)
Ps. In queste giornate di up and down emotivi mi ritrovo molto in queste parole.. forse rifugiarmi nei libri mi offre un rifugio dal caos. Forse è l’unico luogo dove trovo un senso. Forse sono l’unico luogo in cui mi sento viva in un mondo che mi sembra che abbia smesso di vivere. “Non è vita questa qua” penso ogni tanto la sera, con il bicchiere di vino mentre mangio con me stessa… ma so che non è vero… è vita anche questa. Grazie ai romanzi che me lo ricordano.
LIBRI CHE MI HANNO FERITA (prima parte)
Peter Pan (Peter e Wendy) è stato il mio libro preferito dell’infanzia (insieme a Pippi Calzelunghe) e nel contempo quello che mi ha fregata più di tutti… credere che esista l’Isola che non c’è non mi ha mai fatto venire la voglia di tornare davvero casa. Volevo essere la migliore amica di Peter. Wendy mi è sempre stata antipatica… non ho mai capito perché avesse così paura a buttarsi nelle avventure e volesse rimanere con i bambini più piccoli. “Peter scegli me che sono coraggiosa! “ mi dicevo ogni notte sperando che mi venisse a prendere. Non è mai arrivato. E ho deciso che in qualche modo sarei diventata io, Peter.
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La schiuma dei giorni di Boris Vian è il libro che mi ha fatto capire il potere delle storie per come vengono raccontate. Non c’è niente di originale nella trama, ma è il modo in cui le vicende di Colin e Chloe vengono raccontate che ti capovolge il modo di vedere le cose. È un libro inafferrabile e quasi indefinibile, un libro sull’amore che ricerca il tutto, che ti soffoca e affoga e poi ti fa sentire libero e poi di nuovo schiacciato. Mi ha insegnato che nella vita si può essere folli. E che cercare la follia in tutto quello che accade è forse l’unica via d’uscita, per non soffocare davvero. Letto a 20 anni su consiglio di un compagno di università che non sento da anni ma che non smetterò mai di ringraziare nel cuore.
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La donna giusta di Sandor Marai l’ho letto forse troppo presto, facevo sicuramente il liceo… ma quella copertina rosa di Adelphi mi attraeva troppo per non leggere la prima riga e ritrovarmi in una spirale di confessioni, dichiarazioni, ricerca di verità sull’amore, mogli che confessano di tradire mariti, mariti che non amano più le mogli, amanti che soffrono per non essere ricambiate e una domanda che si rincorre e sovrasta… esiste… la donna giusta? È un libro che va letto perché offre un’educazione sentimentale al contrario. Ma va fatto con le dovute precauzioni. È un romanzo che disillude e scoperchia varchi di senso. È un libro che mi ha ferita perché mi ha fatto capire forse troppo presto che l’amore non basta e che contiene in sé, nella sua definizione, una forma di menzogna.
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Jane Eyre di Charlotte Bronte. Forse il mondo si divide nelle sorelle Bronte… tra Cime tempestose e Jane Eyre.. Charlotte e Emily. Tra Cime tempestose e Jane Eyre, tra gli spiriti che urlano nella brughiera e i fantasmi nei castelli ho sempre preferiti i secondi. Il motivo non lo conosco ma vi prometto che ne parlerò con la mia analista presto.
C’è stato un lungo periodo della mia vita in cui avrei voluto fare l’istitutrice. Sentivo che quello era un lavoro cucito addosso a me … e ora che ci penso… sono un po’ un’istitutrice di Instagram no? L’importante è inseguire sempre i sogni di bambina.
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Per ora basta… nella prossima puntata vi parlerò di Virginia Woolf, Donna Tartt, Milan Kundera… e altri autori che hanno formato la storia che sono… perché siamo tutti delle storie no?