L come Libertà
Ciao a tutti e benritrovati,
perdonatemi se la scorsa settimana ho latitato. Sono settimane un po’ complicate anche dal punto di vista familiare, il che non giustifica niente, ma purtroppo ho dovuto un po’ ridurre i miei impegni.
Detto questo veniamo a noi. Questa settimana vorrei parlarvi di libertà.
Non vi nascondo che sono giorni un po’ arrancanti, complicati, in cui ritrovare fonti di entusiasmo dentro di sé risulta difficile. Ci sarebbe bisogno di una iniezione di energia. Una fonte di entusiasmo, un cambio di narrazione.
Quell’incontro casuale che porta ad una svolta.
Forse basterebbe innamorarsi.
Forse basterebbe ritrovare la forza di stupirsi.
Forse non basta più il bicchiere di vino rosso mentre scrivo questa lettera. Forse non mi basta ricercare dentro me stessa ogni brandello di forza. Vorrei scappare, urlare, incontrare. Essere incontrata.
Ed è in questo stato di percezione della mia “finitezza”, dei miei limiti che cerco di combattere ogni giorno provando ad andare oltre, provando, come diceva Ingrid Bergman ad “essere felice di quello che ho”, che voglio parlarvi di libertà.
In un anno (e ora ancora, team arancioni rafforzati, team rossi, sembra l’oratorio feriale degli anni novanta) in cui da questa libertà, o per lo meno da quello che pensavamo che fosse, è stato storpiato, allentato, ristretto.
Le nostre case sono diventate le nostre cucce (ora la mia è diventata anche la cuccia di Marcello che trova il loft in Barona particolarmente confortevole, soprattutto quando riesce- come in questo momento- a rubarmi le ciabatte). I nostri orizzonti si sono fatti piccoli. Abbiamo imparato a non guardare troppo oltre, a non farci travolgere dall’ansia del futuro.
A prendere le misure con i singoli attimi. A concentrarci sul presente, a lasciare andare.. le programmazioni, le eccessive ambizioni.
I farò, i dirò, gli andrò.
E se questo in un primo momento mi è sembrato liberatorio (mi era parso che avessi vissuto tutta la vita pensando ad un domani che non sarebbe mai arrivato… finalmente era arrivato il momento di concentrarmi sull’oggi nel tempo sospeso) e un ottimo esercizio per ritrovarmi, ora mi rendo conto che mi sento come Marcello che cerca di mangiarsi la coda.
Temo che questo “stare” si trasformi in una impossibilità di “andare”. Temo che questa mia iperconcentrazione sul mio equilibrio attimo dopo attimo, abbia smorzato tutto il resto.
Non soffro più.
Ma nemmeno mi entusiasmo troppo.
Mi sento chiusa in una bolla… una boccia di cristallo di cui io e soltanto io vedo i confini.
Dov’è finita la mia libertà?
Dove è andata la mia tendenza di andare?
Dove sono finiti i miei moti a luogo?
E non è un caso che in questa situazione abbia desiderato rileggere Simone De Beauvoir.
(per vedere tutte le dirette su Simone cliccate qui).
Per Simone la libertà era una questione terribilmente importante.
Per lei che ha scelto di vivere spaccando tutte le gabbie, rompendo ogni forma di tradizione, ribellandosi ad ogni forma di destino, facendo la filosofa, scrivendo e ricercando nella scrittura la sua forma dell’esistenza, il concetto di “libertà” era fondante della sua vita.
Vivere nella libertà “autentica”. Una libertà che rompe i dettami sociali, culturali, religiosi. Una libertà che ricerca in essa stessa la sua fonte di gratificazione e giustificazione.
“L’uomo è libero, ma trova la sua legge nella sua stessa libertà”.
Ma dove sta questa libertà. Dove la possiamo ricercare.
Simone la ricercava nella scrittura, nello studio, nell’abbracciare cause che portassero alla liberazione di tutti gli individui.
Da qui nasce Il secondo sesso (che vi ricordo essere del 1949), da qui nasce la sua volontà di liberare la donna da stereotipi e falsi miti. Da idee ancestrali e incastonate nella tradizioni, nella cultura, nell’educazione delle ragazze.
L’idea per cui la donna “sia nata in un certo modo”, che naturalmente “tenda all’ubbidienza/all’amore/ al matrimonio/alla dipendenza”.
Lei ci era arrivata prima di tutti che certi modelli erano falsi. Non avevano alcun fondamento biologico, ma solo sociale e storico.
E rileggendo oggi quel librone scritto ormai più di settant’anni fa ti rendi conto di quanto parli alle donne di oggi.
Certo, molte cose sono cambiate.
Certo, in poche ancora pensano che il fine della propria vita possa riporsi nella casa linda e perfetta e che se non si ha quell’attitudine si è “sbagliate”.
Ma c’è un livello più profondo. Ed è quello della dipendenza: dall’amore, dall’avere qualcuno a fianco, dall’avere una forma di gratificazione che sia fuori di noi e non in noi stesse per sentirci accolte.
E da qui deriva la dipendenza amorosa (chi non ne ha mai sofferto?) che in casi drammatici ed estremi si trasforma in violenza.
“Ma lui mi ama, fa così, ma mi ama”.
E via, in nome dell’amore ad accettare battute di medio gusto “gli uomini sono diversi dalle donne, noi non siamo monogami” (certo, perché noi sì, abbiamo la …. Biologicamente predisposta all’amore eterno e all’altra metà della mela), a violenze psicologiche di ogni grado e forma. A violenze fisiche “perché lui è fatto così”.
Forse la questione della dipendenza amorosa è un fatto che capita anche agli uomini, non lo nego. Ma credo che certe differenze di “genere” continuino a sussistere per un fatto eminentemente culturale. Non si possono cancellare secoli di subordinazione con un colpo di spugna e ora (credo che le generazioni più giovani siano avvantaggiate in questo) ci ritroviamo nel limbo della ridefinizione dove il maschio eterosessuale ricerca il proprio posto del mondo, accanto ad una donna sempre più consapevole e evoluta.
Però c’è una cosa che dice Simone che vi cito a memoria che credo valga per tutti: l’indipendenza fa paura.
Ad un certo punto Simone, che non è per niente gentile nei confronti delle sue compagne di sesso, rimprovera le donne di scegliere- spesso- la strada “più facile”.
La dipendenza sentimentale che si trasforma in dipendenza economica, in dipendenza affettiva e decisionale. Che le fa sentire sempre bambine, mai responsabili.
L’indipendenza fa paura.
L’indipendenza (che significa scegliere per sé, vivere per sé, conoscere se stesse e poi accompagnarsi all’altro non come una stampella) è difficilissima da raggiungere e a tratti terrorizzante.
“Ma perché non mi aiuta nessuno”.
Ho ripetuto cento volte a me stessa lagnandomi della mia condizione.
“Ma perché nessuno mi da una mano”.
Perché l’altro non è lì per darti una mano. È lì per essere riconosciuto nella sua libertà come tu ti riconosci nella tua.
Nella bella diretta con Michela Marzano, abbiamo parlato a lungo della “libertà nell’amore”.
Per Michela la sua forma di libertà e di autonomia nell’amore (nel suo caso verso il marito).
Io stimo molto Michela e capisco questo suo punto di vista.
Anche io credo che la libertà più compiuta non sia un solipsismo verso noi stessi, ma – e questo lo diceva anche Simone- il ributtarci verso l’altro.
Il problema è che nell’amore romantico a volte è tremendamente difficile. A volte l’amore romantico (come hanno detto eminenti altri filosofi e psicologi) si trasforma troppo spesso in un rapporto di forza.
Dell’uno verso l’altro, non sempre del maschio sulla femmina, ma anche il contrario.
Del partner verso l’altro partner.
Ci sono casi estremamente fortunati in cui non è così. Ci sono casi in cui ci si riconosce e ci si ama per quello che si è, nei propri punti di forza e nelle proprie fragilità. Diventando non l’uno la stampella dell’altro, ma compagni di vita.
Però penso che ogni forma di pensiero (come le opere d’arte, i libri e qualsiasi altra cosa) non possano prescindere dalle biografie. Da quello che è successo davvero agli autori. Soprattutto nel caso della nostra Simone.
Simone ha vissuto amori che, nella ricerca di una forma di libertà assoluta, hanno svelato il loro contrario: la gelosia, la rabbia, la volontà di possesso. Ma anche le possibilità di forza: la rottura degli schemi, la scelta dell’altro per quello che è, riconoscendo i suoi limiti e non cercando di cambiarli.
Io sinceramente credo che Simone si sia sentita davvero libera nel rapporto con Sartre ad un certo punto della sua vita, nonostante sia stato un rapporto (libero, aperto, in cui lui aveva altre amanti e anche Simone), in cui lei, nella sua ambiguità, nelle sue contraddizioni, in una ricerca di libertà costante e autentica, si sia adagiata e abbia trovato il suo modo di stare.
Per amore.
Però ecco… una cosa che ho capito da lei, dai suoi romanzi e dalla sua filosofia è che libertà significa anche definire per sé la propria scala di valori.
Quella “libertà autentica” sta nella verità con cui affrontiamo ciò che ci capita.
Quindi. Cos’è la libertà per me?
Provo ad armarmi di nostalgia e a tornare indietro. Quali sono stati i momenti in cui mi sono sentita libera?
Proviamo a fare questo gioco. Io ogni tanto lo faccio.
Sul ponte verso la Tate Modern a Londra nel mio primo viaggio da sola a 21 anni
La mattina in cui mi sono alzata nella mia prima casa in affitto a Milano, camminavo per la strada e mi fermavo in un bar e mi dicevo “beh, questa è la libertà”
In ogni sala d’aspetto negli aeroporti, a mangiare patatine e strani sandwich, pronta per dirigermi verso nuove avventure
Passeggiando con il vento sulla faccia in montagna, al mare, in qualsiasi luogo possa aver respirato la natura
Quando mi sono alzata una mattina finalmente libera da quel pensiero che ogni giorno mi distruggeva. Un senso di vuoto, di abbandono, di svalutazione e di perdita. Quella mattina in cui mi sono alzata e mi sono detta “però sai che c’è… io valgo lo stesso indipendentemente dagli altri. Indipendentemente dall’essere amata”
Ora che ci penso tutti i miei momenti di “libertà” sono stati momenti solitari. Forse per me la libertà sta nella mia dimensione nel mondo.
Forse non mi è ancora capitato di incontrare quella persona che, con la sua presenza e con la sua libertà, mi fa sentire “autenticamente libera”.
Leggendo e rileggendo Simone (e in questo c’è anche molto del pensiero del Bloomsbury group della nostra Virginia) mi sembra di capire che libertà significhi ogni volta scegliere per noi stessi e sulla base dei nostri valori.
Valori che possono cambiare, idee che possono mutare come muta la vita nella sua imperfezione, angoscia e insicurezza. Nei momenti in cui ci sentiamo Wonder Woman e anche quelli in cui vorremmo solo sprofondare sul divano.
E allora ritiro fuori quella parola che tanto mi piace e che forse più delle altre definisce quello che per me è agire e muovermi e pensare e provare ad essere “autentica”, che è verità.
In ogni cosa che faccio cerco verità. La libertà forse sta lì, nel fare le cose senza sentirmi costretta, senza sentirmi sotto ricatto o sotto accusa.
Se una cosa non la voglio dire no. Se una cosa la desidero andarci addosso.
Inseguire il desiderio, ricercare la passione.
Anche chiusa in casa, anche di nuovo alle prese con le restrizioni.
Ricercare la forza di andare avanti, di migliorarmi, per sentirmi ogni giorno fiera di me. Non perché “me lo dicono gli altri”. Non perché “mi viene riconosciuto da qualcuno”. Non perché “qualcuno mi ama”. Ma perché io, semmai, voglio amare.
La libertà, in fin dei conti, è una forma di desiderio.
E di rispetto verso se stessi.
Fatemi sapere che ne pensate.
Vi abbraccio come ogni settimana,
Marta
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