MA COME FAI A (NON) FARE TUTTO?
“La speranza si realizza quando certe verità diventano certezze mentre un giorno erano state incredibili”- Maria Zambrano
Si può scegliere tutto, purché sul piano del libero impegno” Jean Paul Sartre
Carissime e carissimi,
come state? Sono felicissima di tornare a scrivervi qui e mi scuso infinitamente per non averlo fatto per due settimane ma con il libro nuovo, il lavoro (ho ripreso la mia collaborazione con X-style il bel programma che va in onda su Canale 5), malattie delle nonne, Andrea che non c’è, la tesina per il master e il piccolo Orlando che non chiude occhio è stata un po’ dura.
Ora ho una tata che viene la mattina e che mi sta dando una mano.
FARE TUTTO
Ma come fai a far tutto?
Recitava il titolo di un film che, come era successo con “La verità è che non ti piaci abbastanza” ha contribuito a crearci addosso un immaginario super eroistico in cui le mamme (in generale: LE DONNE) hanno superpoteri nascosti e che sanno far tutto per natura.
Tenere bambini, ordinare case, magari lavorare, sorridere, sostenere la coppia.
Eccetera, eccetera, eccetera.
Una certa narrazione, che viene sostenuta dalle foto dell’instagram, ci vuole impeccabili e felici.
Felici sempre, anche quando siamo a casa sommerse dai pannolini, dal bebè che urla dalla sdraietta mentre cerchiamo di fare qualcosa che non sia tenerlo in braccio.
Abbiamo radicata nella testa l’idea secondo cui i bambini siano un affare nostro, un nostro imprescindibile impegno.
Siamo convinte che se fino a prima della nascita eravamo contente a fare un aperitivo o vedere una mostra, con la nascita del bebè magicamente le nostre priorità si sarebbero trasformate e che avremmo trovato serenità e gratificazione nel pulire un pannolino pieno di cacca.
Ebbene. Con meraviglia (maddai), ci accorgiamo che non sempre è così.
Che di certo stare con i nostri bebè è fonte di gioia e felicità (quando Orlando mi sorride la mattina il mondo in effetti diventa più colorato e le 5 ore di sonno notturno mi sembrano dieci) però… il nostro essere a tutto tondo ci manca.
Stare un con un bimbo è bello ma anche tremendamente ripetitivo. Le passeggiate in centro o al parco si ripetono sempre nello stesso modo, auspicabilmente alla stessa ora (così dorme… forse), la richiesta continua di attenzioni ci sfianca fisicamente e mentalmente.
Ho visto un reel di una influencer qualche giorno fa in cui mostrava la “testa” di una mamma prima e dopo il parto. Prima super efficiente e poi stanca, distrutta, incapace di sistemare le cuffiette dell’iphone.
Ho riso in un primo momento poi ho letto i commenti di tante mamme che si riconoscono in questa narrazione e mi sono domandata se va bene così.
Se va bene accettare il rimbambimento da neonato, mettendo in pausa tutto quello che si era.
Mettendo libri, manuali e ambizioni nel cassetto del “lo farò dopo” sostituendoli da corsi sullo svezzamento, diventando cintura nera di pappe e nanne, parlando solo ossessivamente di quante volte il nostro bebè si sveglia la notte.
Come vi ho più volte detto la mia sfida più grande nella maternità era capire come avrei potuto continuare ad essere me e anche mamma.
La quadra non l’ho ancora trovata. Per ora mi accontento del mio io diviso come direbbe Laing.
Quando sono con Orlando rido, faccio facce buffe, gioco con le manine e i piedini.
Quando presento il mio libro, lavoro, sto con degli adulti mi sento “quella di prima”.
Non è stato facile, è ancora un percorso. Il mio bimbo è piccolo e io per forza di cose ho dovuto ricominciare a lavorare, viaggiare, esserci presto.
Ma quelle aperture alla “vita di prima” sono salvifiche anche nel mio essere mamma.
Sono una donna pensante, a cui piace leggere, ragionare, scrivere, trovare il proprio spazio interiore.
Credo fermamente che tutto questo possa essere arricchito e trasformato positivamente dal potere creativo che ha la maternità, quando non viene schiacciato dal senso di colpa.
Dal “non ce la faccio ma non posso dirlo perché altrimenti chissà cosa pensano”.
Presentando La verità è che non ti piaci abbastanza, ricordo costantemente il mio percorso di rinascita: i libri che ho letto, le riflessioni, il mio percorso di analisi che mi ha aiutata a sentirmi intera indipendentemente da ciò che ho intorno (un lavoro, un amore, la casa che abito, il riconoscimento degli altri).
Ringrazio quella Marta che lo ha compiuto perché, se non avessi percorso quella strada, forse avrei – ancora una volta- ricercato la mia identità in qualcosa che è fuori da me: il mio bambino, il mio essere mamma.
E mi sarei sentita (per forza di cose, succede sempre così quando buttiamo la nostra salvezza in qualcosa d’altro che non siano le nostre risorse) frustrata, inadeguata, infelice.
Dichiarare di voler essere una mamma che vuole continuare ad essere efficiente per se stessa (non per il mondo) è forse la mia battaglia attuale.
Prendendo il grande insegnamento che il confronto con l’altro ti dona (avere un bambino, vedere la tua libertà che si modifica e prende forma in relazione ad un altro da cui non si può prescindere).
E mi viene in aiuto -per capire che tipo di libertà posso perseguire in questo presente che modifica ogni mia certezza- l’immancabile Jean Paul Sartre
“Noi vogliamo la libertà per la libertà e in ogni circostanza particolare. E volendo la libertà, scopriamo che essa dipende interamente dalla libertà degli altri e che la libertà degli altri dipende dalla nostra”.
La nostra libertà esiste solo in una determinata situazione: valuta la situazione in cui vivi, comprendi le crepe, i confini, quello che c’è nella realtà e non solo nella tua testa e fai di tutto per sentirti libera, non dimenticando la tua responsabilità e il tuo impegno.
Anche se sei mamma.
Una mamma libera che se si sente affogare non teme nel chiedere aiuto e di trovare il suo modo di raccontare l’incontro e il concatenarsi tra libertà, felicità e accudimento.
Io ci sto ancora provando.
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