Moto a luogo e orizzonti perduti (tempo di lettura 8 minuti)
Ciao a tutti e bentrovati,
bello avervi qui. Bello questo viaggio che abbiamo intrapreso insieme. Come vi dicevo qualche mese fa… intratteniamoci e sosteniamoci perché ne abbiamo sempre più necessità.
Anche attraverso le parole di questa newsletter.
Un giorno di questa settimana mentre passeggiavo per il Naviglio – in realtà correvo tra un appuntamento e l’altro, forse gli ultimi appuntamenti che avremo fuori dalle nostre case, almeno qui a Milano…- mi è venuta alla mente questa frase… “forse funziono meglio nel moto a luogo”.
In questi due mesi di ripresa e illusione che la vita potesse essere per certi versi simile a quella che avevamo prima del 9 Marzo 2020 (citando la bellissima poesia di Mariangela Gualtieri), ho apprezzato più che mai il piacere del movimento. Stare seduta su un treno, con la mascherina, guardando fuori dal finestrino. Godendomi quello che una volta qualcuno ha definito (lo avevo trovato scritto in un libro, ma non riesco a ricordare quale, mi pare fosse di Catherine Dunne) “il lusso dell’attesa”. Dello stare fermi ed essere traghettati da un posto all’altro con tutto quello che ne consegue. “La strada è la vita” diceva Jack Kerouac, nel libro più citato dagli adolescenti di tutto il mondo, almeno fino agli anni Novanta, Sulla Strada.
Per me il movimento è fonte di creatività e pensiero. Silenzio, percorso, conoscenza.
La mia vita, finora, è stata una sommatoria di andate e ritorni. Nel viaggio ho sempre ricercato una forma dell’esistenza, un metro per prendere le misure con la mia solitudine.
Sul viaggiare (e sulle valigie) ci ho addirittura scritto un libro che si intitola La felicità è a portata di trolley che era nato come manuale per fare la valigia perfetta ma si è trasformato in una ricerca esistenziale (maddai.. l’avreste mai detto…) del mio sé e di chi lo legge in 55x40x20.
“La valigia può essere un metro di definizione di noi stesse, perché non è infinita: in soli 55x40x20 dobbiamo infilare quello che sentiamo di essere e quello che vorremmo essere nel viaggio che stiamo per iniziare, di qualsiasi natura esso sia”
Scrivevo.
E scrivevo anche
“Un viaggio, di qualsiasi genere sia, è un momento di rottura con le abitudini. Una fuga estemporanea in cui si compie un atto di trasformazione. Siamo noi a decidere in cosa.”
Il moto a luogo è stata la condizione in cui io ho ricercato e ritrovato spesso me stessa. Camminare, muovermi, sentire l’esigenza di andare. Verso un luogo, una persona, un obiettivo.
Dopo aver sentito il bellissimo podcast A mente libera di Rick DuFer, che racconta la filosofia attraverso tematiche esistenziali (facendoti fare un bel ripassone di Kant, Spinoza, Cartesio, Marco Aurelio e tutta una serie di filosofi che avevo studiato al liceo e che mi ero assolutamente dimenticata) mi rendo conto che nel mio concetto di valigia esistenziale ed esperienziale (capirete perché abbia deluso moltissime persone che credevano di trovarci il trucco della camicia perfetta...) aveva qualcosa a che fare con la percezione del limite.
“Capire i nostri limiti” è un tema filosofico fondamentale che ha fatto scervellare John Locke, Kant ma anche Seneca. Capire che il nostro pensiero ha dei limiti è un primo passo verso la consapevolezza. Capire che noi siamo esseri limitati, ci libera da una serie di angosce e ci fa concentrare su quello su cui effettivamente possiamo intervenire.
“Cambiamo noi stessi quando ammettiamo i nostri limiti” dice Rick citando una delle frasi che più ho nel cuore di Seneca (che è a tutti gli effetti uno dei miei filosofi prefe di sempre, le sue Lettere a Lucilio campeggiano sul mio comodino accanto ai Sillabari di Parise).
Animum non caelum debes mutare.
Devi mutare il tuo animo non il cielo!
Che traslato è qualcosa di molto simile a quello che ci raccontava Luca Mazzucchelli la scorsa settimana in termini di crescita personale… Per cambiare le cose dobbiamo prima cambiare noi stessi.
La cosa divertente è che Seneca dice questa cosa a Lucilio che spera di liberarsi dagli affanni viaggiando…
Non è scappando dalle cose che le cose si risolvono, è stando nelle cose ma cambiando noi stessi che cresciamo. E questo vale per tutto… il rapporto di coppia (come dicevamo la scorsa settimana), il nostro rapporto con un lavoro che ci appassiona (come faccio a fare la giornalista di libri se non posso/riesco/non c’è la possibilità di fare i programmi di libri in tv?), noi stessi.
E cosa c’entrano le valigie con tutto questo?
C’entrano nella misura in cui per me la valigia, che contiene sì degli abiti, delle creme e dei gioielli, ma è, attraverso questi oggetti, una rappresentazione di noi stessi in un dato momento, sia lo specchio di come ci confrontiamo con la nostra limitatezza.
Ovvero: non possiamo portarci dietro l’armadio quando viaggiamo, dobbiamo scegliere e nelle nostre scelte ci raccontiamo. Ogni azione che prevede una scelta e una riflessione su noi stessi, è un allenamento alla definizione.
Il mio professore di filosofia del liceo era fissato con “la definizione”. Dando un nome alle cose, creandoci un contorno le possiamo afferrare e capire. Mettere dei limiti a noi stessi e agli altri fa sì che la nostra mente ci permetta di concettualizzarle. E quando le concettualizziamo, le vediamo usando una prospettiva (vedi mail precedente) ci fanno meno paura.
Concettualizziamo: il mio fidanzato mi lascia “perché non è pronto”= non è più innamorato di me. Fa male da morire ma è un dato di fatto. Accogliamo, accettiamo, facciamocene, come si dice in gergo, “una ragione”.
APPUNTO.
Viviamo un momento storico complicatissimo. Non devo stare qui io a raccontarvelo. Lo leggiamo sui giornali e ascoltiamo in tv. Per me questa settimana, nonostante fossi consapevole e preparata che sarebbe potuto accadere, è stata difficile.
Vedere, come era successo a Marzo, di nuovo eventi cancellati, festival che si spostano sulle piattaforme web, percepire quell’ansia da orizzonte perduto. Che ne sarà di noi? Che ne sarà di me? Non mi ha lasciata indifferente.
No, non mi ha lasciata indifferente, ma per non ripartire sempre dal via come un gioco dell’oca rotto, apprendiamo dal passato.
Per me che amo il “moto a luogo”, stare “nel luogo” in quei lunghi mesi di lockdown è stata una prova psicologica e di autocoscienza non indifferente. Ma è stato uno dei momenti della mia vita in cui ho capito più cose di me stessa. Come ho fatto?
Ho fatto finta di essere in treno.
Non scherzo.
In un momento di perdita di coordinate ho applicato le coordinate che a me erano conosciute.
Attesa= viaggio
Ho cercato di sentirmi in viaggio nel mio #loftinbarona, ripartendo da ciò che mi è più caro: i miei libri e definendo un percorso per me stessa e per chi ha deciso di seguirmi sui social.
E ho cercato con tutta la forza di mettere in pratica una cosa che già sapevo ma che non avevo mai avuto il coraggio di fare: stravolgere il mio mindset.
Traslando Matt Haig nel suo “Vita su un pianeta nervoso” che vi cito a memoria declinando al femminile “una volta non sopportavo i tramonti rosa, ero cinica, consideravo la “positività” una favoletta per bambini. È solo quando si attraversano momenti complicati per mille ragioni che si capisce la forza dell’ottimismo. Dell’imparare a vedere le cose come possibilità e non solo come ostacolo”.
E non è che la si capisca perché, come ormai dico sempre, si diventa Buddha… ma perché è l’unica chiave possibile per non infilarsi sotto le coperte e caricarsi di Zoloft.
È più una questione di buon senso e salvaguardia di noi stessi che di coscienza zen.
Questo è un momento difficile. È vero. Non c’è nulla di positivo. C’è tanta amarezza, paura e rabbia, che anche io provo. Potessimo non viverlo staremmo tutti meglio. Ma continuare a ripeterselo a cosa serve?
Diamo i limiti alle cose, concettualizziamole e reagiamo.
Citando Marco Aurelio “La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri”
In un post di questa settimana vi ho chiesto di raccontarmi un vostro momento felice. Se andate a guardare in molti mi avete raccontato di viaggi, di posti da scoprire, di persone che si sono svelate per la prima volta… di voi che camminando avete preso coscienza di voi stesse.
La felicità per me ha sempre avuto molto a che fare con la libertà… Io da sola, a Londra che cammino col vento sulla faccia e sento la forza della solitudine nell’essere libera, in quegli attimi .
Come dice Parise, nel Sillabario “la libertà è un pittore americano a Villa Borghese”.
Mi ha sempre affascinato questa immagine. Non avere nulla, capelli scompigliati e un blocco di carta come Leonardo Di Caprio in Titanic, alla conquista di un nuovo mondo (lasciate perdere come finisce!!).
Ma ora come facciamo? Mi viene in aiuto Gianni Rodari, di cui si è celebrato il centesimo compleanno questa settimana. Nel suo Grammatica della fantasia testo imprescindibile per ogni amante dei libri e della fantasia, invita a spingerci oltre le frontiere del fantastico.
Lo dedica ai bambini, ma io l’ho sempre letto come un invito a cercare il bambino che c’è in noi
“Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola “Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.”
Usiamo la mente, spingiamola oltre, viaggiamo dentro di noi e la nostra fantasia.
Resistiamo, immaginiamoci diversi. Non sarà facile, ma è necessario.
Perché, anche se gli orizzonti per il momento sono confusi, come ci ricorda Battiato
La stagione dell'amore viene e va
All'improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà
Ne abbiamo avute di occasioni
Perdendole, non rimpiangerle, non rimpiangerle mai
Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore
Nuove possibilità per conoscersi
E gli orizzonti perduti non si scordano mai
(Orizzonti Perduti, 1983)
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LIBRI SUL COMODINO (segnalo perché li sto leggendo… presto in IGTV per recensioni)
Dieci storie quasi vere di Daniela Gambaro
Un posto fresco e nascosto, dove vanno a finire tutti i palloni e i segreti d'infanzia. La ricerca di una tartaruga nel giardino di una famiglia pronta al trasloco. Un bambino che col primo sorriso sceglie a chi assomiglierà da grande. Un altro bambino nato così piccolo che sua mamma sogna le verrà ricucito nella pancia, fino a diventare maturo. Una donna che dimentica la figlia in automobile e va al lavoro, e non sa che le tartarughe piangono. Una babysitter che mangia solo pollo fritto, vuole diventare suora e dimentica il gas acceso, così disastrosa da essere tenera. Una stanza in più, dove di certo non può dormire un figlio, che nasconde qualcosa di pesante, qualcosa destinato forse a far crollare la casa intera. Due genitori che usano un inglese d'invenzione per parlare tra grandi e non farsi capire dai bambini. Una madre che ha perso un figlio e non si accontenta della logica e del buon senso, della matematica e della vita. E poi, una bambina luminosa, che attira le zanzare e non può mangiare i popcorn al cinema. Dieci storie possibili, dieci sguardi sul quotidiano di famiglie, coppie, madri, bambini. Dieci racconti scritti con una penna leggera e precisa, capace di narrare anche le cose più difficili, quelle terribili e scomode che sono così reali, da essere quasi vere.
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L’amore al tempo dei cambiamenti climatici di Josef Panek, Keller editore
"L'amore al tempo dei cambiamenti climatici" racconta una storia del villaggio globale che chiamiamo Terra, l'illogicità del razzismo e le vie imprevedibili del cuore e come tutti abbiamo paura dei cambiamenti senza renderci conto che attorno a noi di sta verificando il più grande cambiamento di sempre... Tomás, viaggia per partecipare a una conferenza che si svolge a Bangalore. È un uomo che fatica a ritrovarsi dopo il divorzio, uno scienziato costretto dal frenetico mondo globalizzato a imparare a lavorare con gli altri e a sopprimere la sua individualità per il bene delle sue ricerche. Un incontro più o meno casuale con un'attraente partecipante indiana alla conferenza gli apre una notte di intensa passione, sia in termini di sesso che di conversazione. Il finale giocoso dell'autore lascia molto all'immaginazione del lettore che può decidere cosa sia realmente successo.
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