N come Nuova vita
Durante la lezione decide che proverà le selezioni del concorso. Leda, la sua compagna di stanza, non è d’accordo:
– E se ti scoprono i tuoi genitori?
– E’ un mondo nuovo, – risponde Hera.
– Ormai siamo libere.
“Volevo essere Madame Bovary”, di Anilda Ibrahimi (Einaudi)
Ciao a tutte e tutti e bentrovati,
eccomi di ritorno dopo il mio viaggio. Anzi forse mi verrebbe da dire che sono nel pieno della traversata, in balia delle tempeste, maree, ma anche della meraviglia di stare in mezzo al mare.
Anche io pensavo che mi sarei presa più tempo, ma in queste giornate strane, assurde e allucinogene, sento l’esigenza di ritagliarmi degli spazi, per trovare introdurmi in questa nuova vita provando a ridurre lo shock.
Non è facile, chiunque ha dei bambini immagino mi capisca.
Ma anche questa volta, come vi dicevo in qualche newsletter fa, il lavoro salva.
È un deterrente, un salvagente, un trait d’union. Un’ancora a cui aggrapparsi per potersi dire: caspita… ma io sono questa persona qui, non sono solo una produttrice di latte e ninne nanne che non dorme da dieci giorni e che non esce di casa se non per andare a fare i controlli del peso all’ospedale.
Come immaginerete però quello che potrò scrivervi in queste settimane (anzi, andiamo per gradi.. iniziamo da questa settimana, di doman non v’è certezza soprattutto con un bebè) non può che essere personale.
Un po’ perché serve a me.
Un po’ perché il tempo con Orlando è dilatato. Ti alzi la mattina alle 6 e arrivi alle 21 tra poppate, lattini, ruttini, nannine, passeggiatine in un soffio.
Sei distrutta e non sei nemmeno riuscita a farti una doccia.
Pensi di poterti riposare ma lui, è proprio quando arriva sera che si riaccende (le ostetriche mi hanno detto che è fisiologico e ancestrale… i bambini venivano nutriti- e nascevano- per lo più di notte- perché era il momento in cui potevano essere più protetti da predatori).
Ora mentre scrivo queste righe, baby O. sta dormendo dopo vari e tanti tentativi di addormentamento andati a cattivo fine. E poi magicamente a nemmeno un’ora da quella che dovrebbe essere la sua prossima poppata… eccolo che crolla… con il volto da angioletto, le braccine sopra la testa.
Lo racconta bene Rachel Cusk in “Puoi dire addio al sonno” libro- tra i più veritieri, realistici e in cui mi sono più ritrovata- sull’essere madre che ho letto- tipo profezia che si autoavvera- gli ultimi giorni di gravidanza.
Da quando Orlando è nato, dieci giorni fa, non dormo, non leggo, non riesco a riposare, non ho più idea di chi sia (di chi sia io, di chi sia il mio compagno, ci guardiamo in faccia al massimo un paio di volte al giorno, di come passavo le mie giornate prima che fossero scandite da ritmi di una poppata ogni 2/3 ore).
Marcello si aggira per la casa come un fantasma che ha capito che deve proteggere questo esserino che non dorme mai ma che ancora non ha capito bene che farsene (non tira nemmeno le palline!!!!).
È diventato tutto “orlandocentrico”: Orlando deve mangiare, deve dormire, Orlando piange, Orlando fa la cacca.
Dicono: è una fase. Sono certa che lo sia… ma sono anche certa che questo sia uno dei momenti più stancanti della mia vita.
Te l’avevano detto. O meglio.. ne avevi sentito parlare da amici, conoscenti, fratelli e sorelle con bambini ma non ci credevi.
Eri convinta (sì, sono talmente stanca che sto parlando a me stessa in seconda persona…) che saresti stata più brava.
Ti dicevi: ma ti sei già stancata un sacco nella vita, tra viaggi, jet leg, ritmi di lavoro forsennato, figurati se un neonato ti stende.
Ecco: voglio dirlo forte e chiaro… un neonato ti stende.
Un po’ perché arrivi all’appuntamento con lui che sei già devastata: nono mese di gravidanza (che nel mio caso è stato devastante, sono ingrassata un sacco di chili, avevo la schiena e le gambe a pezzi, non riuscivo a dormire)
Un po’ perché ti confronti per la prima volta con “l’altro da te”.
Un bambino è un essere che dipende totalmente da te, che diventa più importante di te e che tu non hai alcuna idea di come poter gestire.
Io personalmente non mi sono ossessionata nella lettura di manuali di puerperio prima della nascita. Ma meno male.. perché tanto non mi sarebbe servito a nulla.
Un bimbo arriva e spazza via ogni tua certezza e sicurezza.
Prende la tua libertà e te la succhia via come ciuccia il latte dalla tetta e tu in un battibaleno (dopo un travaglio o come nel mio caso non appena ti riprendi da un taglio cesareo) ti trasformi nella versione “mamma” di te stessa.
“Ciao mamma, sei pronta?”
Ormai tutti ti chiamano così.
Da quando sei in gravidanza, quella prima volta che varchi la soglia di una “visita ostetricia” che conferma il verdetto “sei incinta”.
Da lì ogni volta che andrai in ospedale o a fare un controllo sarai “mamma”… scordati appellattivi come “signora”, “Marta”.
Scordati il lei.
Diventi “mamma”. E non importa se fuori sei un’amministratrice delegata, un magistrato, una giornalista, un’insegnante, un’austronauta.
Le ginecologhe ti chiamano “mamma”, per le ostetriche, le puericultrici, i pediatri… sei “mamma” e basta.
Le prima volte (quando ancora avevo un pancino che non era pancione e chiamavo il mio piccolino che poi ha deciso di palesarsi al mondo con un peso di 4 chili e mezzo) “cellulino”, mi voltavo indietro cercando la “mamma” a cui si riferivano. Non posso essere io. Io non sono mamma, io sono semplicemente una donna incinta con la sua dignità, identità, professionalità.
Bene. Impari presto a scordartelo e a capire che in quel frangente della tua vita non gliene frega niente a nessuno di quello che fai al di fuori del tuo utero.
E se durante la gravidanza una volta che uscivi dalla visita di controllo e te ne andavi in giro col tuo pancione potevi tornare a riappropriarti delle altre “te”, non appena varchi la soglia della sala parto attraversi la mutazione.
Diventi “mamma” a tutti gli effetti. E con questo appellativo ti allontani da te stessa ed entri in un vortice parallelo.
Ti spogliano, ti circondano, vieni osservata, misurata, toccata in ogni dove e a fronte di ogni imbarazzo.
Io ho fatto un parto cesareo mostrando le mie budella al mio compagno che osservava la scena del mio taglio da un vetro sulla sala. (non che sia gelosa delle mie budella o che lo ritenga poco romantico.. però ecco forse mi aspettavo che l’avrebbero avvertito…).
Keep reading with a 7-day free trial
Subscribe to Marta Perego to keep reading this post and get 7 days of free access to the full post archives.