Quello che eravamo
Con meraviglia, ci accorgiamo che adulti non abbiamo perduto la nostra antica timidezza di fronte al prossimo: la vita non ci ha per niente aiutato a liberarci della timidezza. Siamo timidi. Soltanto non ce ne importa: ci sembra di esserci conquistato il diritto di essere timidi: siamo timidi senza timidezza: arditamente timidi. - Natalia Ginzburg
È una settimana che ascolto in loop la canzone dei Baustelle (Indosso il mondo lo imito come una forma portatile di verità, per sopravvivere agisco mimetico dentro di lui), gruppo a cui sono molto affezionata che mi ricorda i miei vent’anni, le serate senza tempo e senza impegno, quell’inquietudine di chi vorrebbe tutto ma non sa dove andare, ma è sicura che non tornerà indietro, andrà sempre avanti.
I Navigli di Milano quando ancora c’erano i locali dove si suonava dal vivo, non c’erano i turisti americani seduti ai tavoli a scofanarsi i menù all you can eat delle risotterie.
Erano un luogo ancora oscuro, che solcavo in bicicletta temeraria nell’affrontare le rotaie del tram.
Volevo tutto
Volevo troppo
Non mi accorgevo che avevo già abbastanza e possedevo quella cosa che poi –te lo dicono le nonne, i genitori, ma tu non ci credi mai- è la gioventù.
Vivevo, come accade a quell’età, al futuro: quando diventerò, quando incontrerò, quando mi innamorerò.
Ed è incredibile come tutta quella propensione al domani, quando passano gli anni si trasformi in malinconia.
A volte penso a cosa succederebbe se, come in un film degli anni Ottanta, la me con la testa da 38enne entrasse nel corpo di quella 23enne che iniziava a lavorare, a vivere da sola, a cercare legami veri.
Ma il risultato sarebbe catastrofico perché la me di oggi non permetterebbe mai a quella ventenne di infilarsi in situazioni assurde (ma lo vedi? È un cretino! Alzati immediatamente da quella sedia) né di straziarsi per problemi che non sono problemi (Quann si' piccirill, ogni cosa te pare grossa. Quando si gross, ogni cosa t' pare nient dice Zia Vittoria ne La vita bugiarda degli adulti).
Non essere invitata ad un aperitivo.
Non essere salutata dalla collega invidiosa.
Sentirsi derisa dai tuoi superiori che forse non hanno obiettivo quello di distruggerti l’autostima, ma ogni giorno te ne tolgono un pezzettino.
La giovinezza ha in sé un che di profondamente tragico, vittimistico e a tratti anche crudele.
Ci sono poi quelle promesse che ti fai.
Non diventerò mai come mia madre.
Non andrò mai a vivere in provincia.
Non rinuncerò mai alla mia carriera.
Sbandieriamo asserzioni e poi ci troviamo una manciata di anni dopo (chi meno chi più) a domandarci cosa sia successo nel mezzo.
Come è successo che ci siamo messi addosso il mondo (come dicono i Baustelle)?
Sembra ieri che volevamo mangiarcelo, fare qualcosa di diverso, trovare forme di vita, amore, soddisfazione che fossero tutte da scrivere a nostra immagine e somiglianza.
E oggi ci ritroviamo qui, ritornati in provincia, con un mutuo e il tappeto (hai sempre odiato i tappeti!) in salotto, a guardare l’ultima serie tv di Netflix sul divano.
E la cosa incredibile che mai ci saremmo aspettati e che ci va bene così.
Siamo sereni, consapevoli che quella parola tanto millantata –la felicità- viene e va a ondate, ma non ci preoccupa più di tanto.
Ma è proprio vero?
A volte ho il terrore che sia una resa.
Alla fatica di una quotidianità che ti obbliga al presente (preparare il brodo, l’orario della nanna, quando iscriviamo il bambino all’asilo?)
Alla delusione che nulla –nemmeno l’essere diventati genitori- ci dia il patentino dell’ “età adulta”.
Perché adulti non ci sentiamo per niente.
Quelle inquietudini, timori, paure e titubanze si sono assopiti e pacificati ma vivono ancora dentro di noi e ogni tanto bussano alla porta del nostro inconscio.
Come si fa a portarsi la gioventù addosso, non tradirla, ma nello stesso tempo crescere, evolvere, diventare altro?
Che poi questo tarlo sul tema del “diventare adulti” non è roba solo mia.
Come vi ho già detto qua e là alcuni dei romanzi più belli degli ultimi anni (Spatriati, Avere tutto, Randagi, Tasmania, Le perfezioni) ma anche i film (da La La Land in poi) parlano in fondo di questo.
(ma lo facevano anche prima… basta pensare a Pavese. Forse è per questo che amo la letteratura e l’arte, perché lottano da sempre contro il peso dell’età).
Come facciamo noi Millenials che ci sentiamo adolescenti per sempre a immaginarci “adulti”?
In una forma diversa da come (pensiamo) hanno fatto i nostri genitori. Più libera, scanzonata, senza però cadere nel grottesco sentirsi costantemente studenti universitari fuori sede.
Io non la so la risposta, so però che sentirmi una studentessa universitaria fuori sede per lungo periodo mi ha permesso di non adagiarmi rispetto a forme precofenzionate di felicità che ho intuito ad un certo punto che con me non avrebbero avuto nulla a che fare (se non farmi sentire avviluppata in una rete non costruita da me).
Simone De Beauvoir in un libro poco conosciuto che per me è diventato una specie di Bibbia personale che si intitola “Per una morale dell’ambiguità” (lo stiamo leggendo al nostro caffè filosofico) ad un certo punto elenca tre parole come sinonimo della possibilità di modellare la nostra esistenza seguendo la nostra libertà (che per lei è sinonimo di autenticità): vitalità, sensibilità, intelligenza.
E probabilmente sento l’esigenza di tornare a lei in queste giornate in cui mi sento così stanca.
Stanca per le ore di sonno perdute (Orlando amore mio insonne).
Stanca per gli impegni quotidiani da cui nel momento in cui diventi madre non puoi scappare (e io ero maestra nel rifuggire la vita).
Stanca per quello che il militarismo social ha ribattezzato “carico mentale” che è sinonimo -per lo più- di responsabilità.
Come faccio a ritrovare la mia libertà, nella mia vita adulta, a fronte delle mie responsabilità senza imitare il mondo e buttandomelo addosso ma cercando di esistere rimanendo presente a me stessa?
Ecco ritrovare quelle tre parole mi aiuta.
Ricercare quello che mi rende viva (leggere Ammaniti, giocare con mio figlio divertendomi), sensibilità (sentire quello che mi sta intorno non trasformandomi in una superficie impermeabile), smuovere la mia intelligenza (quando sei triste impara diceva Mago Merlino).
E anche se non siamo più studenti fuori sede, abbiamo comprato una casa, il mutuo, i tappeti e i 120 mq di parquet, possiamo continuare a lottare per la nostra unicità.
Guardando la ventenne che c’è in noi, provando ogni giorno a non deluderla troppo.
COLETTE CHALLENGE
Una che ha lottato contro la vita adulta (e per questo la amo) è senza dubbio Colette!
Abbiamo dovuto rimandare di un pochino la challenge a causa delle difficoltà nel reperimento del libro, che a mano a mano stiamo risolvendo, mi avete stupita lanciandovi in ricerche su ogni tipo di piattaforma.
Bravissime!
Non vedo l’ora di parlare con voi di Colette, della sua ribellione e contemporaneità.
Lasciamoci ispirare da La vagabonda!
Ecco le nuove date:
DIRETTA INSTAGRAM: martedì 24 gennaio, ore 21
INCONTRO SU ZOOM A LIBRO TERMINATO: martedì 21 febbraio, ore 21
Chiunque può partecipare alla challenge. Per questa prima challenge del 2023 ho deciso di lasciarlo free per tutti. Vi condividerò qui il link zoom sotto data.
A presto!
APPUNTAMENTI
Sto definendo tutte le date delle passeggiate flaneuse da qui a maggio.
Intanto vi rimando al link del primo appuntamento dedicato ad Alda Merini
Vi ricordo che nel pomeriggio ci sarà la possibilità di visitare con prezzo esclusivo la mostra di Max Ersnt a Palazzo Reale.
Oltre 400 sono le opere tra dipinti, sculture, disegni, collages, fotografie, gioielli e libri illustrati provenienti da musei, fondazioni e collezioni private, in Italia e all’estero. Tra questi: la GAM di Torino, la Peggy Guggenheim Collection e il Museo di Ca’ Pesaro di Venezia, la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il Museo Cantini di Marsiglia, i Musei Statali e la Fondazione Arp di Berlino, il Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid, la Fondazione Beyeler di Basilea.
Il lungo lavoro di studio e d’indagine compiuto dai curatori ha permesso di includere tra i prestiti, che vantano la presenza di un’ottantina di dipinti, anche opere e documenti che non venivano esposti al pubblico da parecchi decenni.
Al piano nobile di Palazzo Reale i visitatori potranno immergersi in un avvincente itinerario che ripercorre l’avventurosa parabola creativa dell’artista, segnata dai grandi avvenimenti storici del XX secolo e costellata di amori straordinari, nonché di amicizie illustri. Il percorso narra le vicende biografiche di Ernst raggruppandole in 4 grandi periodi, a loro volta suddivisi in 9 sale tematiche che dischiudono approcci interdisciplinari alla sua arte.
Un’ampia, ideale biblioteca, quella dell’artista, fatta di libri illustrati, manuali per lo studio, fotografie, oggetti e documenti, si snoda attraverso tutto il percorso della mostra, invitando i visitatori ad attivarsi in giochi di rimandi e corrispondenze tra le fonti d’ispirazione e le opere stesse.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Electa, da una guida e da una nuova edizione, sempre di Electa, di due opere fondamentali di Paola Dècina Lombardi sul movimento surrealista: Surrealismo 1919-1969. Ribellione e immaginazione e La donna, la libertà, l’amore. Un’antologia sul surrealismo.
Dal 14 febbraio (4- 25 febbraio e 4 marzo)
Alla Libreria Viginia e Co. di Monza realizzerò una serie di incontri dedicati a Virginia Woolf. si può partecipare anche online. Per info: 3479157450
Che cosa lega la più grande autrice del modernismo inglese con la filosofia del Wabi Sabi giapponese?
Perché leggere Virginia Woolf è quasi equiparabile a delle sedute di mindfulness?
Come mai Virginia continua ad essere la scrittrice più citata da chiunque si occupi di femminismo?
Per quale motivo stilisti contemporanei come il direttore artistico di Fendi continuano a riferirsi a lei come fonte di ispirazione?
Perché leggerla oggi può offrirci risposte in un presente complicato?
Virginia Woolf è stata antesignana di stili di vita, di modi di vestire, di essere e pensare. La prima a rendersi conto che i “generi” non definiscono la qualità degli esseri umani.
Che il tempo esiste non in una linea che distingue il passato dal presente, ma nella misura in cui noi stessi lo percepiamo. Che l’amore è fluido, confuso e che non c’entra nulla con le istituzioni, il matrimonio, il progetto di vita. Che siamo esseri che appartengono alla natura e che da essa deriviamo significato.
Che il valore che diamo alla nostra esistenza possiamo deciderlo da soli nel momento in cui ci concentriamo, davvero, sui nostri desideri. Perché le emozioni sono ciò che ci definisce.
Scrittrice, pensatrice, femminista, amante dei cani, della vita, della natura quanto della sua città, Londra.
Su Virginia Wollf si sono scritte biografie, saggi critici, analisi che hanno messo al centro la sua straordinaria opera letteraria.
Ma quello che non si dice – quasi mai- è che Virginia è stata una maestra di vita. Non perché ne fosse realmente consapevole. Non perché si sia mai atteggiata da guru (anzi pensava di non capirci proprio nulla nella vita). Ma con ciò che ha fatto, scritto e pensato ha indicato una via che ancora oggi può essere percorsa. Per sentirci meno soli, per trovare una bussola, per confrontarci con tempi incerti e complicati.
Lei insieme a molte altre scrittrici, filosofe, attrici e pensatrici che si legano al suo pensiero possono rappresentare una strada.
Qualcuno ha parlato di “via dell’artista”. Virginia ci offre, se viene letta con attenzione, una via di esistenza.
JACINDA ARDERN, IMPARARE A DIRE DI NO E IL MONOTASKING
Si è parlato molto questa settimana della notizia relativa alla premier neozelandese che ha deciso di dimettersi nove mesi prima rispetto al suo mandato e di non ricandidarsi.
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