R COME RELAZIONI
Care e cari tutti,
scusate i ritardi e i rimandi, non riesco più ad essere puntuale come un tempo. Ritagliarsi del tempo per scrivere in solitudine nel proprio studio con un bambino è una chimera, un sogno, un desiderio irrealizzabile.
Riempio le note del cellulare di idee, pensieri, volontà di sviluppo, ma non appena fuggo sulla mia scrivania per buttare sulla pagina le idee, riempirle di contenuto, aprire ipertesti, riferimenti, citazioni, Orlando puntualmente richiede attenzione.
E per quanto cerchi di fare più o meno tutto con lui, gli spazi di sospensione e pensiero sono quelli più difficili da preservare.
Un bambino è vita, attimo, esserci costantemente e continuamente per lui e con lui. Non c’è margine per la speculazione filosofica. Soprattutto nel mese in cui esce il tuo libro, riprendi a lavorare in tv e in qualche modo cerchi di portare avanti il tuo lavoro di divulgazione sui social media.
Uso la seconda persona singolare ma ovviamente sto parlando di me (o con me), cercando di oggettivare questi giorni di corse, presentazioni e incontri.
È meraviglioso vedere in quante e quanti state entrando il relazione con questo libro in cui sono partita da una domanda: come si fa ad affrontare la solitudine? A cui segue: come si fa a ritrovare fiducia nell’amore?
Domande enormi a cui ho voluto cercare una risposta e per farlo mi sono concentrata sulla nostra mente… le nostre idee. Noi siamo quello che ci raccontiamo di essere. In fondo ognuno di noi è un io narrante di se stesso costantemente alimentato dalle letture, le visioni di film e esperienze che fa.
Io sono voluta andare alle radici del mito dell’amore, del come mai alberga nella nostra testa, mi sono lasciata guidare dal monito di Gloria Steinem “disimparare il romanticismo, imparare l’amore” e mi sono molto divertita a mettere in dubbio tutto: il mito dell’amore fusionale, dell’altra metà della mela, dei poli opposti che si attraggono, dell’amore che salva. E per farlo ho giocato sì con la mia esperienza, ma soprattutto mi sono riletta libri su libri che sono stati scritti sull’amore. Che lo hanno analizzato, provato a definire, smembrato, sfatato e ho cercato di capire come nel 2022 possiamo riprovare a definirlo di fronte ad una società in cui tutto sembra bruciare in fretta, i legami diventano sempre più difficili non solo da far durare ma anche da far sbocciare. Una società in cui la forza centripeta dell’individualismo e quella centrifuga del voler essere amati e compiacere tutti (soprattutto sui social) si scontrano senza apparentemente volersi incontrare.
Dove può risiedere la libertà dell’amore in questo contesto? E come si può definire la sua autenticità?
La risposta sta nel provare a ribaltare lo sguardo e provare a riflettere prima di tutto su di noi: la nostra autostima, il nostro concepire le relazioni, il nostro amare chi siamo e capire cosa vogliamo.
È di certo un tentativo di ricerca enorme, difficile e complesso.
Il libro non è un manuale di felicità, né una guida di self help ma un tentativo di analisi leggera della complessità.
Io mi sono occupata di filosofia e letteratura, Valeria Locati ha illuminato il percorso con la sua analisi psicologica e psicoterapeutica.
Vi abbiamo offerto spunti e punti di vista. Il resto è a voi… con i vostri io narranti, le vostre storie, la vostra definizione dell’amore.
Fatemi sapere e , se volete, commentate il libro qui, mi sarebbe di grandissimo aiuto!
SOLITUDINI E RELAZIONI
Questo weekend ho visto due film che in maniera diversa riflettono sul tema delle relazioni.
Su quanto sia importante uscire dal proprio isolamento e cercare di raggiungere l’altro, rompendo il velo della solitudine. E su come mai alla domanda: per cosa vale la pena vivere, la risposta non può che essere “perché ci sono gli altri”.
Sono due film molto diversi l’uno dall’altro e mi riferisco a Everything Everywhere All At Once e Amanda.
Everything Everywhere All At Once è stato definito “il film definitive sul multiverso”: caso cinematografico negli USA, relizzato dai “Daniels” – Daniel Kwan e Daniel Scheinert- prodotto dai fratelli Russo (quelli di Avengers Endgame). È sostanzialmente uno Sliding Doors delle infinite possibilità dell’universo… La protagonista (Michelle Yeoh) si chiama Evelyn ed è una disperata proprietaria di una lavanderia a gettoni sull’orlo del fallimento, con un marito inetto che vuole lasciarla, un padre invalido e una figlia che vuole emanciparsi da lei. La sua vita cambia quando scopre che in altri universi esistono migliata e centinaia di versioni di lei stessa che – nel corso della vita- ha compiuto altre scelte. Più gli universi sono lontani più le versioni di Evelyn si distaccano da quella della sua realtà: cantante lirica, star del kung fu, ricca borghese, scienziata geniale. E con lei il marito, il padre e la figlia che scopre essere la minaccia più grande dell’universo.
Come capirete la trama è completamente folle, con punte di non sense (esiste un universo in cui gli esseri umani hanno le dita a forma di hot dog) ma la domanda è esistenziale e filosofica: se nell’universo esistono tutte le scelte possibili, che senso ha vivere? Che senso ha porsi il problema di affrontare la vita se comunque, nelle infinite possibilità, la risposta in ultima analisi è sempre la morte?
La risposta è: perché si ama (il proprio marito, il padre, la figlia, la madre) e non mi sento di farvi un grande spoiler perché questa risposta arria dopo due ore e mezza di combattimenti, viaggi mentali, burrocacao masticati per passare da un mondo all’altro saltellando. C’è anche quel mito di Jamie Lee Curtis nei panni dell’impiegata dell’agenzia delle entrate dai super poteri.
Un film completamente folle e cerebrale che però si apre nel finale a punte emotive che abbracciano con intelligenza la domanda più domanda di tutte: perché viviamo????
Benedetta Porcaroli è invece la protagonista di Amanda film della milanese 32enne Cristina Cavalli che già era stata a Venezia.
Un po’ Wes Anderson, un poì il fantastico mondo di Amelie, un film “hipster” come lo ha definito Andrea Zirio (il mio compagno ahaha) che ha il pregio di cercare una nuova strada per la commedia indie italiana.
Amanda è una ragazza ricca che non ha amici, fidanzati, né voglia di vivere.
Si sposta da Parigi in Italia (città non deifnita) e qui scopre che la figlia della migliore amica della madre (interpretata da Giovanna Mezzogiorno) è stata la sua migliore amica quando erano in fasce. Riconquistare l’amicizia di Rebecca (che ora vive rintanata in camera sua) diventa il suo obiettivo primario, insieme a quello di fidanzarsi con Michele Bravi (che qui recita nei panni di uno spacciatore di preservativi).
Ogni tanto si slabbra e perde, ma è un tentativo encomiabile di affrontare il tema della solitudine generazione senza farne un trattato sociologico, ma un divertente affresco onirico e surreale.
E anche qui, come nel film precedente, la risposta alle domande sta nel riconoscersi in qualcuno che ti accetta per quello che sei.
APPUNTAMENTI
Questa settimana andrò a Roma per consegnare insieme a Stefania Soma (@petuniaollister) la nostra Mezione Speciale per il Premio Zanibelli di Sanofi Italia.
Il Premio Letterario “Angelo Zanibelli – La parola che cura” nasce nel 2013 per valorizzare la narrazione come strumento sociale e terapeutico. Fin dalla prima edizione, il Premio - nato in ricordo di Angelo Zanibelli, Direttore della Comunicazione e delle relazioni Istituzionali di Sanofi Italia - dà voce alle storie di pazienti e di chi se ne prende cura, nella convinzione che condividere l’esperienza della malattia sia già parte della cura. Ad oggi sono oltre 500 le opere e gli autori che hanno partecipato negli anni all’iniziativa di Sanofi, che è così divenuta riferimento sia nell’ambito sanitario che in quello letterario.
Io e Stefania abbiamo organizzato un Reader’s Book Club insieme alle nostre community con il quale abbiamo letto e analizzato sei titoli
Bianco è il colore del danno (puoi acquistarlo qui)
Abitare i colori (puoi acquistarlo qui)
L’arte di legare le persone (puoi acquistarlo qui)
Futuro semplice (puoi acquistarlo qui)
Disuguaglianze e malattie (puoi acquistarlo qui)
Lingua madre (puoi acquistarlo qui)
Titoli molto diversi l’uno dall’altro ma che hanno in comune la capacità di aver affrontato il tema della cura e il racconto della malattia con diversi approcci.
Chi più umano e personale, chi più saggistico, chi poetico e letterario.
È stato un viaggio appassionante che mi ha davvero conquistata e coinvolta.
Felice di averne fatto ancora parte.
LIBRI NUOVI SUL COMODINO
I NOMI PROPRI DI MARTA JIMENEZ SERRANO
Chi è Belaundia Fu? È la migliore amica di Marta a sette anni: l'amica immaginaria che, quando le cose non vanno come previsto e nemmeno la nonna riesce a confortarla, si siede con lei e aspetta che si senta meglio. Belaundia Fu è la voce ragionevole, ideale e infallibile che, quando Marta ha sedici anni e preferisce non ascoltare, le dice la verità in faccia: per esempio, che quel ragazzo, Charlie, non va bene per lei. Ma quando Marta ha ormai compiuto ventidue anni, quando si è laureata, quando comincia a prendere decisioni che segneranno il resto della sua vita, cosa ci fa Belaundia Fu ancora lì? È ancora lì perché è lei che ha sempre raccontato a Marta la sua storia. "Chi è Belaundia Fu?", ci chiediamo; eppure la domanda che conta davvero è: chi è Marta?
Puoi acquistarlo qui
Gioventu’ di Tove Dietlevsen
Dopo Infanzia, il secondo capitolo della trilogia di Copenaghen, grande classico della letteratura danese oggi riscoperto e acclamato a livello internazionale.
La piccola Tove è cresciuta in fretta: costretta ad abbandonare la scuola molto presto, a quattordici anni compie i primi passi nel mondo del lavoro. Indossato il vestito buono e infilato il grembiule in cartella, di prima mattina si presenta a casa della signora Olfertsen, che l’ha assunta come domestica. Durerà soltanto un giorno, e sarà la prima di una serie di esperienze mortificanti. Lasciata l’abitazione dei genitori, la ragazza si sistema in una stanzetta fatiscente; la notte dorme col cappotto addosso e deve sottostare a una padrona di casa nazista, ma quei pochi metri quadrati sono solo suoi. Insieme all’emancipazione arrivano nuove amicizie, vita notturna, e la scoperta degli uomini, con cui vive degli incontri maldestri e mai veramente desiderati. Lei ha fame d’altro: di poesia, di amore, di vita vera. Mentre l’Europa scivola nella guerra Tove, determinata nel perseguire la sua vocazione poetica, va per la sua strada, lungo il difficile cammino verso l’indipendenza. Uno sguardo sempre più affilato, una personalità sempre più definita: costantemente in bilico tra una libertà appena conquistata e lo spaesamento che questa comporta, comincia a delinearsi il tipo di adulta che diventerà.
Gioventù è il ritratto straordinariamente onesto e coinvolgente di una fase cruciale della vita, e Tove Ditlevsen, ancora una volta, ha un grande merito: nel raccontarci di sé ci rivela qualcosa su tutti noi.
Puoi acquistarlo qui
Un giorno e una donna. Vita e passioni di Christine de Pizan, la prima scrittrice europea
Ha detto che uomini e donne sono uguali e che “una donna intelligente riesce a far di tutto e anzi gli uomini sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro”. Ha detto che bisogna fare studiare le bambine e se solo le donne avessero fatto i libri... Ha detto che le donne non provano piacere a essere stuprate, come molti credono, ma subiscono un dolore senza pari. Lo ha detto un giorno in cui Parigi era un tempo più che un luogo, e l’anno 1405 era un luogo più che un tempo. Lo ha detto nel Medioevo insanguinato dalla Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra. Davanti a tutta la corte francese, a re e nobili. Christine de Pizan, nata in Italia, prima storica donna, prima editor, poetessa e scrittrice. Donna. Nicoletta Bortolotti ricostruisce la sua vita, che, dopo un’infanzia meravigliosa al seguito del padre divenuto astronomo reale a Parigi, fu colpita da lutti e rovesci che la lasciarono, giovanissima, vedova e madre. Il risultato è un libro che da un lato sembra provenire dal passato, a partire dalla forma epistolare scelta, che tanti capolavori ha regalato alla letteratura, e che qui si incarna nelle lettere tra una madre e una figlia. E dall’altro è assolutamente moderno. Perché molte delle conquiste sognate da Christine si sono verificate solo in anni recenti, e altre si stanno verificando adesso, o devono ancora farlo.
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Nuoto Libero di Julie Otsuka
Gli amanti del nuoto libero sanno che la loro amatissima piscina sotterranea è un luogo quieto, perfetto per il relax e la concentrazione, dove ciascuno gestisce il suo corpo e il suo tempo lontano dal mondo di superficie. È il loro spazio, la loro zona di conforto, la fonte di un benessere superiore. La loro è una vita appartata e felice, vasca dopo vasca, virata dopo virata. Fino al giorno in cui la comparsa di una crepa sul fondo della piscina incrina le certezze di tutti, soprattutto di Alice. Alice, madre della narratrice, soffre anche lei, in parallelo, per le crepe insanabili che minacciano la sua memoria. Senza la piscina a strutturare il suo tempo, la sua vita intera scivola nella confusione, nello scompiglio, nell'incertezza. Sua figlia la osserva, e ricostruisce per lei un passato che la memoria non trattiene più: l'infanzia, il campo di concentramento per giapponesi, il lungo matrimonio, la morte della prima figlia neonata, l'esperienza di madre nippoamericana in California. Con una scrittura essenziale e con indicibile grazia e profonda tenerezza, Julie Otsuka osserva il declino di una madre imparando a orientarsi in un rapporto difficile e insieme ad amarla come mai prima.
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