Trasformazioni. Valvonauta. Il mondo che cambia
Tempo di lettura: TAKE YOUR TIME e una tisana (ma anche un vino rosso, dipende dall'orario e dall'umore)
C'è una parola che mi risuona nella testa in questa settimana di suggestioni, letture, ascolto di musica che non avevo mai ascoltato prima, ri- ascolto di canzoni che hanno segnato la mia crescita.
Una cosa bella del mio lavoro è il cortocircuito di idee, suggestioni, immagini, pensieri che mi derivano dalle cose che faccio (interviste, dirette, cose leggo, vedo, imparo).
E' sempre stato così ed è sempre stato tutto molto veloce.
Idee, parole, immagini suggestioni si mescolano nella mia testa, producendo reti, connessioni, diagrammi di flusso e diagrammi di Venn (ve li ricordate i diagrammi di Venn? Sono quei diagrammi che mostrano “tutte le possibili correlazioni logiche tra una collezione infinita di insiemi differenti, io lo uso spesso per ragionare sulle relazioni: nei primi tre mesi di una relazione sembra che i due insieme siano identici e perfettamente congruenti e sovrapponibili… poi a mano a mano che il tempo passa si allontanano, fino a non trovare più nemmeno un punto incontro. Magari il trucco è questo, magari il trucco è cercare di non far scomparire i sottoinsiemi, tenerli incollati, creandone nuovi) che se non catturo si perdono negli 8 secondi di attenzione che mi sono rimasti -vi ricordate il libro che vi ho consigliato la scorsa settimana?- è tutto perduto.
Questo per dirvi -in ultima analisi- che queste newsletter probabilmente servono più a me che a voi.
O meglio, grazie per aiutarmi in questo tentativo di catalogazione, che, insieme alle definizioni, sono il modo che abbiamo per sistemarci i cassetti nel cervello e non lasciare che tutto scorra senza produrre effetti.
Dicevamo. La parola che mi suona nella testa è: TRASFORMAZIONE.
Nel diagramma di Venn ideale che vorrei riprodurvi qui sotto se fossi capace di usare delle grafiche creerei un insieme chiamato: MYSS KETA E FUMMETTIBRUTTI, un altro “adolescenza”, un altro ancora “tempo che passa e le cose da fare”.
Trovare i punti di tangenza è un esercizio concettuale, che allena il cervello e non lo fa inaridire.
La parola TRASFORMAZIONE mi viene in mente perché è di trasformazione che parla il nuovo e bellissimo libro a fumetti di Josephine Yole Signorelli che si intitola Anestesia ed è pubblicato da Feltrinelli Comics.
Si tratta del terzo capitolo, che viene dopo Romanzo esplicito e P. la mia adolescenza trans, della trilogia autobiografica e fortissima che questa ragazza, che è un fenomeno del fumetto, ha scritto buttando il coraggio nei suoi disegni “brutti” e raccontando il percorso difficile, doloroso ma ricco anche di avventure umane ed esistenziali, per diventare quella che è.
Josephine si chiamava P., ma Josephine “si è sempre disegnata come una ragazza” ed è in una ragazza che ha deciso di trasformarsi. O meglio. Ha deciso di diventare chi davvero si sentiva di essere. Di lei, che viene associata a Jonathan Bazzi (l’autore candidato allo Strega per Febbre che avevo incontrato in tempi non sospetti in questa diretta), Achille Lauro e i fratelli D’Innocenzo (quelli di Favolacce) ha scritto la meravigliosa Teresa Ciabatti (anche con lei ho fatto una diretta, la trovate qui) sul Corriere della sera in questo articolo.
I ragazzi madre che sanno crescere da soli, che per identità intendono solo quello che si vuole essere e si è. Che va oltre il genere, oltre le categorie morali, oltre la gabbie sociali, oltre tutto.
“Questo è il paese delle meraviglie, dove Alice e il coniglio sono un unico essere, e ci si butta all’inseguimento di sé stessi e di nessun altro. Questo è il paese in cui Alice si lancia da sola nel vuoto”
Josephine si è lanciata nel vuoto da sola, diventando una “stella”, difendendo la sua unicità, senza nascondere le sue paure, prima fra tutte, la possibilità di essere amata.
“Chi mai potrebbe amarmi” scrive in P. la mia adolescenza trans.
Se lo chiede Fumettibrutti, ma forse ce lo chiediamo tutti.
Si trasforma, osa (decide e comanda, Keta non intende, Keta non attende, me la sono cantata per giorni per prepararmi alla sua intervista) Myss Keta.
Io prima di prepararmi per l’incontro che ho avuto con loro in occasione di Lucca Comics and Games (lo trovate qui… è stato un incontro digitale come tutti ahimè gli incontri di Lucca di quest’anno) non avevo quasi idea di chi fosse. Una tipa con la mascherina che fa rap.
Ecco non è così. Il progetto attorno a Myss Keta è un progetto intelligente che vuole costruire un manifesto di una nuova femminilità. Che, come dice la canzone Le ragazze di Porta Venezia (andatevi a vedere il video vi prego, è bellissimo non aspetta il principe azzurro, ma va verso quello che vuole.
PER VEDERE L’INCONTRO INTEGRALE DI LUCCA COMICS AND GAMES CLICCA QUI
“C’è molto amore nelle mie canzoni. Inteso come rete, come amore con le amiche come sostegno… esiste anche l’amore romantico che si può vivere se si ha voglia di vivere e ci sono le condizioni per farlo… ma se non c’è… ci sono le mie amiche!” (l’ho trovato un punto di vista molto saggio, anche io sto iniziando a pensare che in questo periodo storico ma forse da sempre la forma più alta di amore sia l’amicizia).
Keta si maschera e si trasforma nelle sue performance. È una ma potrebbero essere mille, è persona e personaggio, è anonima ma vera.
Guy Debord nel suo saggio cult “La società dello spettacolo” dove nel 1967 già aveva capito tutto pur nemmeno potendo immaginare Instagram scrive “il vero è un momento del falso”.
È una frase a cui penso spesso, non solo perché è stata usata dalla mia amata Lucia Extebarria per il titolo di un suo romanzo (bellissimo, vi lascio link) anche perché oggi più che mai la sento vicina.
Dove sta la verità oggi? Forse dentro la falsità. Dentro la costruzione, lo storytelling, la maschera. Dietro le foto su instagram, in un video di Myss Keta.
E non è una cosa che ci siamo inventati oggi. C’è sempre stata. Dal giullare di corte che era l’unico che, dietro a una maschera, poteva dire la verità, all’antica Grecia dove le divinità, che erano costruzione, idea, mitologia, raccontavano l’essere e l’esistere dando esempio e creando un sistema di valori.
Ma torniamo a noi. Trasformazioni. Fumettibrutti e Myss Keta sono importanti da conoscere perché sono icone di questa nostra contemporaneità liquida. Che muta, si trasforma, perde contorni. Le parole si svuotano e acquisiscono nuovi sensi.
Diventando paladine, Giovanne D’Arco contemporanee, di nuovi modi di essere donne (e in generale esseri umani).
Il loro messaggio, che assume forme diverse (intime e dolorose nei fumetti, eccessiva e in CAPSLOCK nel caso di MYSS) è semplice ma così difficile da attuare
“Andare incontro a noi stessi, identificare la nostra identità al di là di tutto. Anche nei momenti di cambiamento. Anche nella paura di non sapere che fare”.
Sono domande che ci poniamo costantemente quando ci troviamo in quella fascia d’età che è la fase della trasformazione per definizione: l’adolescenza.
Perché tante ragazze si sono riconosciute in Fumettibrutti? Perché tutti in quella fase d’età sentiamo addosso il cambiamento.
Il cambiamento fisico, emotivo, spirituale. Iniziamo a porci delle domande, vogliamo provare a direzionare la nostra vita.
Questa settimana ho pensato spesso alla me adolescente. L’ho fatto attraverso la lettura del libro de I trentenni “Ci vediamo all’uscita” (se volete vedere la diretta la trovate qui). Che è un libro che, se sei cresciuto come me negli anni ’90, ti butta addosso un misto di nostalgia ed entusiasmo.
Ho riascoltato le mie canzoni dell’adolescenza (ve le ho anche condivise su Instagram e sono contenta che abbiate apprezzato). Dai Greenday (Time of your life… a risentirla ora mi si apre il cuore… ho davvero vissuto la mia vita? Ho dato il giusto tempo alle cose? Lo pensavo a 16 e lo penso a 36… forse c’è qualcosa che non va ) ai Radiohead, passando per i Blur, gli Oasis, i Prodigy (vi faccio una selezione che è citata anche nel libro ma filtrando con le mie preferenze)… Alanis Morissette (è stato il mio primo cd! Jugged Little Pill) e i Verdena con Valvonauta (mi affogherei oggi come mi volevo affogare a 16 anni…).
Mi sono accorta che nelle mie preferenza rientrano canzoni sulle pillole e sulla depressione e mi rendo conto che non sono poi così cambiata. Scherzo. (non prendo pillole, rimedio al male di vivere esercitando il buon senso dell’essere felice delle cose che si hanno come vi ho più volte spiegato)
Però è vero che ho ballato parecchio di fronte allo specchio.
Mi sono ricordata di quella ragazza con l’Eastpak e le Doctor Martens viola che prendeva il pullman con il Rocci in mano, che si sentiva esclusa, sbagliata, strana più di quanto tutti intorno a lei potessero immaginare.
Che voleva tutto ma non sapeva da dove iniziare. Che non riusciva ad amare, forse nemmeno se stessa.
Che studiava tutto il giorno ritrovando nelle parole degli antichi greci e latini delle chiavi per capirsi meglio. E che ogni tanto si buttava sul divano con un romanzo di Ian McEwan o Virginia Woolf.
Vi sembrerà il ritratto di una reietta e di una secchiona. Forse lo ero. Non pensate che non mi sia divertita mai e abbia avuto sempre il muso ma, se devo proprio essere sincera qui con voi amici della newsletter, gli anni del liceo per me non sono stati spensierati. Sono stati difficili, problematici, esistenziali.
Come vi ho detto nella scorsa mail la prima volta in cui forse mi sono sentita felice è stata quando mi sono sentita libera. Di andare, di viaggiare, di prendere la mia vita in mano e farci quello che volevo. Davvero e senza giudizio.
Forse è per questo che non amo nessuna forma di gabbia. Probabilmente nemmeno relazionale.
Ma tornando al tema e uscendo dallo sfogo personale, la parola trasformazione credo sia la parola faro di questo momento così strano in quest’anno così orribile.
Perché è vero che da adolescenti ci si sente addosso il peso del cambiamento, ma è anche vero che quel peso non se ne va mai, soprattutto in questo periodo storico.
Tempo fa lessi un libro che mi ha cambiato l’approccio alle cose e, in particolare, dell’età adulta.
Si intitola Passages della giornalista americana Gail Sheey che fa parte della tipologia di libro che io prediligo (i saggi che partono da un’urgenza personale) che negli USA vanno fortissimo e in Italia manco li traducono (chissà perché… dicono perché non ci sia un pubblico… ma io sono o non sono un pubblico?). E’ uscito nel 1976 e ha svelato un arcano a cui fino a quel momento nessuno aveva pensato: la vita è fatta di passaggi, non è per niente vero che una volta che sei diventato adulto stai bene e tutto andrà come deve andare.
Direte… maddai? Invece non è mica così ovvio come sembra. Chattando con voi su Instagram e ascoltando le vostre vite ho scoperto che quella ho vissuto io, ovvero la crisi dei 35 anni, non è una roba che è capitata solo a me. Era capitata anche a mia madre, per dire, negli anni ’80 e con figli a carico. E sta capitando ed è capitata a molte (E MOLTI) di voi.
Perché? Perché ci aspettiamo che a 30/35 anni (ognuno ce l’ha a modo suo, a me è successo a 35, ad alcuni a 30) tutto sia per lo più risolto.
Invece qualsiasi cosa ti sia successo nell’esistenza, se ti sei sposato o no, hai avuto figli, sei solo, hai fatto una carriera pazzesca o lotti con la partita IVA, ti rendi conto di avere ancora tutte quelle angosce che accompagnavano il tuo cervello nei viaggi in pullman per andare al liceo.
Ma dove erano scomparse? Nella corsa. Nell’inseguire sogni, ideali, nel cambiare i pannolini.
Invece stanno sempre lì attaccate alla nostre testa e quello che possiamo fare è prendercene cura.
Accettarle e, passaggio per passaggio, apporvi rimedio. Affrontandole.
Stiamo vivendo un momento di trasformazione enorme. Che coinvolge noi e il mondo, che ci ha imposto di fermarci, di ragionare sulle nostre vite. Ci ha spaventati, ci ha riempito di insicurezze (per questo vi rimando al bellissimo articolo di Annamaria Testa con cui dialogheremo in diretta la prossima settimana)… fingere che tutto questo non sia accaduto o non stia accadendo non è la strategia.
Non so quale sia, la strategia, in realtà. So che dobbiamo trovare la chiave per dialogare con questo nuovo tempo. E per trovare una conclusione a questo fiume di parole e pensieri vi rimando a Zadie Smith che nel suo “Questa strana e incontenibile stagione” (link) – saggio breve scritto durante la quarantena- scrive
“Per me, il luogo comune è vero: l’unico modo per uscire da qualcosa è attraversarlo (…) a fine aprile, in un saggio potente di un’altra scrittrice, Ottessa Moshfegh, ho letto questa frase riferita all’amore “senza, la vita è solo contare i giorni come i carcerati”
Non credo che intendesse soltanto l’amore romantico, o l’amore dei genitori, o l’amore familiare, o qualunque altro tipo specifico di amore (…) Se questo elemento non è presente, in qualche forma, in qualche punto della nostra vita, davvero non esiste altro che il tempo, e ce ne sarà sempre troppo. Affaccendarsi non servirà a mascherarne l’assenza”
Apriamoci alla trasformazione… ovunque ci possa portare.
Cercando di non affogare. Come cantano i Verdena.