Trovare il nostro Daimon, anche nell'incertezza
Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Stiamo vivendo tempi duri, ma se ne preparano di peggiori.
(Cicerone)
What if we discover one day that we were always the ones in charge… it’s just no one told us
E se scoprissimo che siamo sempre state al commando, solo che non ce l’ha mai detto nessuno?
(La fantastica Signora Maisel)
La guerra era e continua ad essere la più irresistibile- e pittoresca- delle notizie
(Susan Sontag)
Viviamo tempi duri. Tempi di ragazze, che fino a qualche settimana fa sceglievano il miglior cappuccino senza lattosio di Kiev, che scrivono alle loro madri non da un viaggio in India, ma dal fronte, con enormi fucili in mano.
Tempi in cui donne incinte sono costrette a scappare sotto le macerie di un teatro che pensavano fosse sicuro.
Tempi in cui nulla sembra più essere al sicuro, nemmeno i bambini. (E come si fa a vivere in un mondo in cui i bambini non sono al sicuro? Ma siamo certi che prima lo fossero? O forse siamo noi che lo ignoravamo, non volevamo sentire e vedere, nelle nostre bolle compiaciute e narcisistiche?).
Tempi in cui non sappiamo come barcamenarci tra una foto su Instagram, una notizia che leggiamo velocemente su Twitter, che ci distoglie dal nostro presente, immediatamente ci fa sentire in colpa, distrugge certezze, in qualche modo annienta la nostra base di sicurezza.
E non bastano i bonifici al Cesvi, Save the Children, alle associazioni che si occupano di rifugiati (io e Andrea abbiamo anche adottato un bambino in India per sentirci a posto con il mondo intero e non solo con l’Ucraina).
Sembra non basti più niente per ridarci quel potere magico che ormai ci sembra perso da tempo: immaginarci il futuro.
Perché per farlo c’è bisogno di un briciolo di speranza. E qui intorno pare che di speranza ce ne sia poca.
“Le fotografie sono uno strumento per rendere reali (o più reali) situazioni che i privilegiati, o quanti semplicemente non corrono alcun pericolo, preferirebbero forse ignorare.”
Scrive Susan Sontag riprendendo la Virginia Woolf delle Tre ghinee (il suo pamphlet contro la guerra) in Davanti al dolore degli altri, un saggio del 2003 (dopo le guerre nella ex Jugoslavia degli anni ’90, l’Iraq, gli attacchi alle Torri Gemelle) dell’intellettuale americana ripubblicato l’anno scorso da Nottetempo (potete acquistarlo a questo link).
Sontag ripercorre il valore delle immagini nella nostra costruzione emotiva, nel nostro modo di interiorizzare e conoscere le guerre degli altri.
Ne parlava anche Virginia Woolf in quel saggio che anticipava la Seconda Guerra Mondiale, mentre i fascismi e nazismi imperversavano in Europa e la preparavano allo scontro.
“Le tree ghinee di Woolf- scrive Susan Sontag- aveva l’originalità di concentrarsi su una questione ritenuta così ovvia o inappropriata da non dover essere menzionata, né tanto meno diventare oggetto di riflessione: la presa d’atto che la guerra è uno sport maschile, che la macchina bellica ha un genere sessuale, ed è maschile.”
Ci ho pensato anche io molte volte in queste settimane, senza esternare quello che Woolf ha avuto il coraggio di fare in un passato in cui per le donne certe strade erano del tutto precluse (vi ricordo che Virginia nemmeno ebbe la possibilità di frequentare l’università perché femmina), mentre leggevo Rompi il soffitto di cristallo che parla di donne al potere, della fatica che hanno fatto e della necessità di sorellanza, e guardavo alla tv le immagini di Putin, Zelensky e dei leader europei come Macron che non hanno più il timore di mostrarsi con barba incolta e felpa da notti in bianco passate a pensare a come cavarsela in questo orrore. Anzi. Felpa e barba incolta sono diventati un trend, un fenomeno di costume. Tutti ad accaparrarsi la maglietta verde militare di Zelensky, il nostro eroe!
Le immagini fanno questo. Creano amici e nemici, esempi da seguire e altri da rifuggire, entrano nel nostro inconscio, ci lavorano, lo segnano.
Immagini di ragazze guerriere, bambine con i fucili in mano. Non importa se siano foto posate o reali, sono rappresentative di un momento storico, emotivo, intellettuale.
“L’immagine non è altro che una forma di coscienza” diceva Jean- Paul Sartre. Le immagini ci permettono di capire più delle parole perché entrano nei nostri cervelli attraversando l’intuito, colpendo direttamente la nostra intimità.
Alzi la mano chi non ha sognato almeno una volta in queste notti di non trovarsi lì nei luoghi delle fotografie, delle immagini che vediamo sui nostri smartphone o nello schermo della tv.
Di essere quella donna che dopo 75 ore senza dormire né bere né mangiare ha partorito i suoi gemellini prematuri non appena arrivata in salvo.
“Guardate dicono le fotografie, questo è ciò che succede. Questo fa la guerra. E quello, fa anche quello. La guerra lacera, spacca. La guerra squarta. La guerra rovina.”
Dice sempre Susan Sontag. Che analizza la forza che le immagini hanno e hanno avuto nella costruzione della nostra coscienza.
Sapete chi è stato il primo fotografo di guerra? Si chiamava Roger Fenton e fu il primo fotografo di guerra ufficiale inviato dal governo britannico nella Guerra in Crimea (guarda un po’… ironia della sorte… Crimea quel luogo che ha da secoli generato territorio di contrasto e insidia).
“Preso atto della necessità di mitigare gli effetti degli allarmanti resoconti pubblicati dalla stampa sui rischi imprevisti e sui disagi che avevano dovuto affrontare i soldati britannici inviati nella regione l’anno prima, il governo aveva infatti inviato un noto fotografo professionista a fornire una diversa e più positiva versione di una guerra, sempre più impopolare”.
Le immagini mitigano, le immagini trasformano. Le immagini si piegano alle narrazioni. Marina Ovsyannikova con il suo cartello sul primo canale russo ha messo sull’attenti una popolazione: non c’è niente di vero nella storia che vi stanno raccontando.
Le immagini a cui dovete credere sono altre.
A che conclusioni arriva Susan Sontag nel suo saggio dopo un lungo excursus delle immagini che hanno creato gli immaginari di guerra- raccontando anche di quella volta in cui gli abitanti di Sarajevo ad una mostra subito dopo la fine del conflitto nei Balcani si offesero perché il fotografo decise di associare scatti in Somalia (cosa c’entra il nostro dolore con quello degli altri….)- ?
Che risposta si dà alla domanda: cosa significa protestare contro la sofferenza rispetto al semplice prenderne atto?
La sua non è una risposta univoca, ma ci invita a stare attenti.
“Non veniamo totalmente trasformati, possiamo distogliere lo sguardo, voltare pagina, cambiare canale, ma questo non vanifica il dolore etico delle immagini da cui siamo assaliti. Tali immagini non possono che essere un invito a prestare attenzione, a riflettere. Chi ha provocato ciò che l’immagine mostra? Chi ne è responsabile? Si sarebbe potuto evitare? Abbiamo finora accettato uno stato delle cose che andrebbe invece messo in discussione? Sono queste le domande da porsi”.
Dice, riprendendo il concetto (che abbiamo analizzato nella scorsa newsletter) di responsabilità a cui ci invita Jean- Paul Sartre.
E nella pratica? Cosa significa? Cosa dobbiamo fare?
Non lo so cosa si debba fare. Sto cercando di prenderci le misure.
Sono d’accordo con il post che ho visto pubblicato da Tlon questa settimana “Perché dobbiamo leggere meno news e studiare di più”.
Sono d’accordo non perché le informazioni facciano male di per sé. È giusto essere informati. Ma in questa contemporaneità malata di informazioni che possono essere reperite ovunque costantemente su ogni mezzo, non applicarci dei filtri può essere deleterio.
Per il nostro umore.
Per la nostra salute mentale.
E quindi. Che dobbiamo fare.
Per non sprofondare nell’angoscia (anche questa sartriana) pensando che la nostra libertà non possa fare nulla in questa contemporaneità così terribile.
Che cosa dobbiamo fare.
Forse trovare ognuno la propria forma di responsabilità.
Non avere paura dell’empatia che, come diceva Edith Stein, è una forma di conoscenza.
Provare le emozioni dell’altro è ciò che più ci porta a contatto con l’altro.
“L’esperienza empatica, che sorge attraverso l’emozione dell’incontro con l’altro, ha un grande potenziale conoscitivo. Quando il nostro io è l’unico criterio di rapporto con il mondo, rimaniamo chiusi nella nostra prigione, gli altri sono enigmi per noi o li modelliamo a seconda della nostra immagine. L’empatia al contrario offre una comprensione, in cui l’irripetibile singolarità e unicità della persona, invece di bloccare la comunicazione, mostra la presenza di un orizzonte comune nell’abito del quale ciascuno vive, prova emozioni, agisce e pensa a partire dalla sua differenza” (Laura Boella, Cuori pensanti)
Ricercare dentro di noi le possibilità di una speranza.
Guardare la foto di una ragazza incinta che scappa da un teatro bombardato, provare a immaginare le sue emozioni.
Pensare “potrei essere io”.
Attraversare il dolore.
Ma poi renderti conto che no, non sei tu.
Tu sei qui con il tuo bambino nella pancia, con la responsabilità di rendere questo mondo un luogo meno terribile di quello che è.
Nei limiti delle tue possibilità.
Comportandoti bene.
Facendo il meglio che puoi.
Per te, per lui, per lei.
REGALARSI BELLEZZA
Una cosa che non riesco più a sopportare è la volgarità e l’inutilità estetica.
Non è questione di snobismo, è una questione etica: in un momento come questo non possiamo perdere tempo con cose inutili.
Almeno, io la penso così.
Forse applico così la mia forma di responsabilità.
Questa settimana ho finito la quarta da me (ma non solo da me … lo so) attesissima stagione di La fantastica Signora Maisel (Amazon Prime).
Ne ho parlato in un post e nel podcast Flaneuse che è uscito giovedì.
Nel post scrivevo questo:
Con mio grande rammarico è finita anche lei: la quarta stagione di Mrs Maisel.
Una stagione di passaggio che, come tutte le stagioni di passaggio, non ha la forza dirompente della prima, ispirazionale della seconda, sognante della terza, ma che ho amato molto nel suo “tirare le fila”
Midge si ritrova a dover ricominciare tutto da capo di nuovo, consapevole però di non voler più scendere a compromessi.
"Voglio dire solo quello che mi pare" dice con fermezza alla sua adorabile agente Susie.
Il problema è che quel voler dire solo quello che vuole la porta a fare la conduttrice in uno squallido strip club di Manhattan.
Tutto sembra disintegrarsi attorno a lei tranne una cosa: il suo desiderio di essere autentica.
E questa sua forza, chiara e cristallina, la conduce dritta verso se stessa.
Ma nella complessità dietro all'apparente leggerezza a cui ci abituati quel genio di Amy Sherman Palladino si nasconde la vera domanda: cosa diamine significa essere davvero noi stessi?
E' così vero che per "raggiungere i nostri sogni" dobbiamo solo e soltanto credere nelle nostre capacità?
Qual è la distanza che intercorre tra il "voglio fare a modo mio" e il "ho troppa paura di fallire per rimettermi in gioco davvero"?
La verità viene a galla nel confronto finale con quella meraviglia di Lenny Bruce (ah... LENNY BRUCE ) che ha capito tutto di Midge, anche che dietro la corazza testarda si nasconde la fifa di confrontarsi davvero con i propri i limiti.
In quel territorio che a volte si rivela confuso tra la voglia di essere autentici, la ribellione rispetto agli schemi sociali e l'abilità di trovare il giusto compromesso per poter davvero sbocciare.
In fin dei conti il vero tema di di Mrs Maisel è quello della VOCAZIONE -o come direbbe il mio amato Jung "identificazione"-
Seguendo lei che capisce se stessa, capiamo anche noi.
In quel gioco di specchi tra la sua storia privata e la storia delle donne americane degli anni '60, ingabbiate nel mito delle "brave e buone"casalinghe ma che, forse, "sono sempre state al comando, ma nessuno gliel'ha detto”.
Ho letto i vostri commenti e quello che mi avete scritto in DM sul tema della “vocazione” o “la ricerca del proprio daimon”.
Che cos’è il daimon? Il daimon è quello che i greci identificavano come “demone” e uno psicanalista come Hillman (nel suo meraviglioso Il codice dell’anima che consiglio sempre a chi si trova in una fase della vita in cui non sa più chi è e cosa desidera) identificava come la nostra “vocazione” che diventa sinonimo di destino.
Il daimon contiene la nostra “immagine”, il disegno di quello che siamo e che noi abbiamo il compito di identificare e mettere in pratica nella nostra vita .
Trovare il proprio daimon porta a:
Riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana
Allineare la nostra vita su di essa
Trovare il buon senso di capire che gli accidenti della vita, compresi il mal di cuore e i contraccolpi naturali che la carne porta con sé, fanno parte del disegno dell’immagine, sono necessari a esso e contribuiscono a realizzarlo.
Se tutto questo tema vi affascina vi consiglio di leggere Hillman e seguire Selene Calloni Williams che è stata sua discepola e porta avanti i concetti di psicanalisi immaginale, declinati in diverse forme e pratiche (approfondiremo anche lei).
Ora però, torniamo a Mrs Maisel.
Devo ammettere che in questa quarta stagione mi è risultato chiaro e limpido quanto il motivo per il quale sia così impazzita per questa serie è perché scava e mette in scena la ricerca del daimon.
Miriam Maisel è una casalinga anni ’50 che si vede crollare il mondo addosso quando il marito la lascia per la segretaria (succede nel primo episodio della prima stagione, non sto facendo spoiler) ma proprio quando tutto le cade addosso lei rinasce come una fenice, trovando il suo daimon (fare la stand up comedian) e i modi per realizzarlo, grazie a validi aiuti come la sua agente Susie e – in questa stagione- il meraviglioso Lenny Bruce.
Aiuti che la portano a far emergere la sua vera “se stessa”, in contrasto con quello che vorrebbe la società, la brava bambina che sta dentro di lei, i suoi genitori (che con lei mutano, si trasformano, vanno incontro al loro daimon insieme alla figlia), gli stereotipi che ruotano attorno all’idea di donna, madre e moglie (e che forse ancora oggi non siamo riusciti a debellare).
Midge è piena di imperfezioni ma è all’interno dei suoi limiti e rispettandoli che manifesta la sua unicità e la sua forza.
Arrivando a mettere in pratica l’insegnamento degli antichi greci:
Se conosci te stesso, conosci il tuo demone e lo metti in pratica, puoi raggiungere l’eudaimonia, ovvero la felicità.
Lo devi fare però -aggiungeva la sapienza antica ripresa da Umberto Galimberti nel libro I miti del nostro tempo- kata metròn, ovvero secondo misura.
Perché Midge si trova in una situazione difficile all’inizio della quarta stagione? Perché era andata oltre le sue misure (chi ha visto la terza stagione sa perché).
Perché in questa quarta stagione non riesce ad essere felice? Perché agisce al di sotto delle sue “misure” e possibilità, come le fa notare Lenny Bruce.
Qual è la distanza che intercorre tra il "voglio fare a modo mio" e il "ho troppa paura di fallire per rimettermi in gioco davvero"?
La risposta sta nella distanza tra il nostro daimon (che è la nostra passione, vocazione, destino) e il nostro saperci dare una misura.
A volte trovare il nostro daimon può essere una sfida complicata, piena di ostacoli, errori, balzi avanti e indietro.
Ma che meraviglia vedere Midge libera, sulla strada della propria autodeterminazione.
IMPARIAMO LA VITA CON SARTRE
Essere autentici non significa essere se stessi, la sincerità è malafede.
Il nostro corso su Jean- Paul Sartre sta per iniziare! L’appuntamento è per il 31 marzo alle 18.00
I testi che Maria ci consiglia di leggere (io li leggo con voi) sono:
Porta chiusa
Porta chiusa" (1944) è quasi un manifesto dell'impossibilità del rapporto interpersonale: "l'enfer c'est les autres", l'inferno sono gli altri, scrive Sartre. La porta attraverso la quale vengono introdotti i tre ospiti-prigionieri in realtà non è affatto chiusa, ma la vera prigionia è sancita dal cerchio infernale dei rapporti, dall'impossibilità di comunicare nonostante la necessità vitale della convivenza. Puoi acquistarlo a questo link
L’età della ragione
Il romanzo racconta due giorni cruciali nella vita di un gruppo di trentenni costretti a constatare il crollo delle proprie illusioni di libertà e soprattutto la sconcertante e fatale scoperta che è proprio questo crollo a renderli davvero liberi. Attorno al protagonista, il professore di filosofia Mathieu, evidente alter ego dell'autore, alle prese con la gravidanza indesiderata della propria amante, ruota un nucleo di personaggi che, lucidi e disperati o ancora capaci di difensivi autoinganni, si dibattono in una vacuità di significato che né la militanza politica né i sogni di gioventù possono redimere. È però Mathieu il solo a giungere con piena consapevolezza all'età della ragione, quella in cui si entra dopo essersi resi conto della gratuità fondamentale di ogni esistenza o, come scrive lo stesso Sartre nell'Essere e il nulla, della "fatticità" della coscienza. Puoi acquistarlo a questo link
Vi consiglio anche la sceneggiatura per il cinema Typhus, appena uscita e tradotto da Maria. Acquistabile a questo link
Quali libri devo leggere?
Posto che non esistono doveri, ma solo desiderio di conoscere, per la nostra challenge consiglio sicuramente Porta Chiusa.
L’età della ragione – che io leggerò sicuramente- mi incuriosisce perché è il parallelo sartriano a L’età forte, il romanzo che è stato oggetto l’anno scorso della nostra challenge su Simone De Beauvoir
APPUNTAMENTI SU ZOOM:
PER ISCRIVERTI AI DUE APPUNTAMENTI SU ZOOM SCRIVI A flaneuse.milano@gmail.com con nell’OGGETTO
“CORSO SARTRE” e specificato nel corpo della mail il tuo abbonamento
IL PRIMO INCONTRO CON MARIA RUSSO SARA’ IL 31 MARZO ALLE 18
Verrà registrato e inviato a chi si iscriverà
Come si fa ad iscrivervi? Condividerò un form nelle stories a breve.
UN PO’ DI COSE DA VEDERE
Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, AL CINEMA
Il regista cult de Il Petroliere, Magnolia, Il filo nascosto qui confeziona un film delicato, romantico, nostalgico ma che riesce a non scadere nei clichè e sorprende per la sua unicità. È candidato a 3 premi Oscar e ha appena vinto un Bafta come Miglior Sceneggiatura originale.
I protagonisti sono due ragazzi, interpretati da Alana Haim, cantante indierock al suo debutto cinematografico e Cooper Hoffman, il figlio di Philip Seymour Hoffman che ha preso il talento dal papà.
I due imparano a conoscersi e amarsi nella San Fernando Valley degli anni ’70 tra musica rock, materassi ad acqua e crisi del petrolio.
Irrestistibile Bradley Cooper nei panni del fidanzato strampalato di Barbra Streisand, in un film che rifugge da schemi e stereotipi e diventa un inno alla vita. I due ragazzi corrono, corrono sempre verso il loro destino e l’uno verso l’altra. Nonostante le differenze, le difficoltà, il futuro incerto. Una rielaborazione del passato che non è contemplazione di ciò che è stato ma spinta verso quello che sarà.
In una pellicola che infonde speranza.
Per approfondire chi è ALANA HAIM potete guardare il mio servizio su XSTYLE a questo link.
Tra le altre uscite da segnarvi di questo weekend:
AL cinema Corro da te, film di Riccardo Milani con Piefrancesco Favino e Miriam Leone remake della commedia di successo francese Tutti in piedi. Lui, seduttore seriale sbruffone si finge disabile per sedurre lei, bellissima musicista in sedia rotelle. Piacevole, garbata, una commedia che vuole esser un inno all’inclusività ma che manca di un po’ di mordente e credibilità (rischiando troppo spesso lo stereotipo) per arrivare davvero all’obiettivo. Bello il cameo, in una delle sue ultime apparizioni, di Piera Degli Esposti.
Tra i film in uscita in streaming vi segnalo su Amazon Prime (se volete provare Amazon Prime gratuitamente per 30 giorni potete farlo a questo link) Deep Water, il thriller Acque profonde con Ben Affleck e Ana de Armas e Scompartimento n. 6 su Nexo +, film finlandese, tra i migliori a mio parere del 2021, vincitore del gran premio della Giuria a Cannes, un viaggio da Mosca verso Nord alla scoperta di scritture rupestri che racconta la fine della giovinezza e il rito di passaggio del viaggio alla fine degli anni Novanta tra walkman e cabine telefoniche.
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Provo a rispondere alle domande che so che mi farete (ovviamente se ne avete altre rispondetemi a questa mail o scrivetemi in DM):
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Se non sono iscritto alla newsletter flaneuse posso partecipare ai corsi e incontri esclusivi?
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INTERVISTE E DIRETTE DELLA SETTIMANA
- Questa settimana ho incontrato Giuliana Altamura autrice di L’occhio del pettirosso, un romanzo che mescola poesia, fisica, bitcoin provando a cercare il senso dell’esistenza attraverso la storia di uno scienziato, Errico Baroni, che lavora per il CERN e che vuole trovare il modo di raccontare la realtà come viene rappresentata dalla fisica quantistica, ma saranno gli occhi di un pettirosso (e di una donna che vede come lui) a cambiare le sue prospettive. E anche quelle del suo matrimonio.
- Con @mammachelibro abbiamo elencato un po’ di libri (manuali, libri illustrati, storie di vita) perfette per chi si trova in gravidanza o vuole fare dei regali.
- Qui trovate invece una bella intervista con Andrea Bajani, l’autore candidato allo Strega l’anno scorso con Il libro delle case che torna in libreria con una raccolta di poesie in cui con naturalezza e verità racconta l’esperienza di paternità e genitorialità. Tra colichette, mutuo da pagare, paura di non essere all’altezza e ridefinizione di un ruolo (il papà) che deve trovare un suo spazio oltre gli stereotipi.
DIRETTE E APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA
Lunedì 21 alle 19 incontro le autrici di La sostituta.
Nato dalle esperienze di due mamme, la scrittrice francese Sophie Adriansen autrice di romanzi e letteratura per l'infanzia e l'illustratrice Mathou, autrice del diario Happy e conosciutissima sul web per il suo blog Crayon d'Humeur, La sostituta è il racconto della lotta silenziosa di una donna alle prese con le difficoltà della maternità.
Non sono più quella che ero prima e non sono ancora quella che devo diventare.
Parleremo di maternità, le sue difficoltà, depressione postpartum e quei tabù difficili da affrontare.
Mercoledì 23 alle 21 incontrerò Simona Baldelli per il nuovo audiolibro di Storytel “La notte che caddero le stelle”.
"Questa è una storia lunga vent’anni. Per alcuni non è ancora finita; per altri, è durata qualche settimana, pochi giorni appena. Per qualcuno, una sola notte: quella in cui caddero le stelle."
Nel 1946, un gruppo di bambini provenienti dalle zone più colpite dalla guerra nell’Italia del Sud arrivò in un casolare vicino Sassuolo, in Emilia-Romagna, grazie a quelli che venivano chiamati i “treni della felicità”, iniziativa promossa dall'Unione Donne Italiane e dal Partito Comunista Italiano, con il supporto della Croce Rossa. I bambini, di età tra i 5 e i 12 anni vennero accolti e nutriti da famiglie che, per qualche tempo, li crebbero come propri figli. Ognuno di loro portava con sé il dolore della guerra, una paura che si materializzava in un’ombra, una presenza costante al proprio fianco che li aveva seguiti lungo il viaggio.
Nel 1968 muore l'anziana Zaira, una delle donne che aveva accolto i bambini nella propria casa. Il suo funerale, a Sassuolo, è l’occasione per incontrarsi nuovamente dopo più di vent’anni. Alcuni di loro, come Santina, erano rimasti in Emilia-Romagna, altri erano ritornati nelle loro città d’origine. Uno di questi è Nicola, che ormai è sposato e ha da poco avuto un figlio. Dina, la moglie, è contenta che riveda i compagni di un tempo. Perché Nicola non dorme mai. Deve essere per qualcosa che accadde una notte di quel 1947, una notte d’estate in cui caddero le stelle.
Giovedì 24 alle 19 sarò in diretta con Jonathan Bazzi per il suo nuovo romanzo Corpi minori.
I corpi minori sono corpi celesti di dimensioni ridotte: asteroidi, meteore, comete, ma in questo romanzo "minori" sono tutti i corpi osservati sotto la lente del desiderio. Desiderio che fa gravitare i personaggi attorno ai sogni e alle ambizioni di una vita, o solo di una stagione. Come accade al protagonista, che all'inizio della storia ha vent'anni, più di un talento ma poca perseveranza. Di una cosa però è sicuro, vuole andarsene da Rozzano, percorrere in senso inverso i tre chilometri e mezzo di via dei Missaglia, lasciarsi alle spalle l'insignificanza e la marginalità e appartenere per sempre alla città, dove spera di trovare anche l'amore, che sin dall'adolescenza insegue senza fortuna, invaghendosi di ragazzi tanto belli quanto sfuggenti. In una Milano ibrida e violenta, grottesca e straripante – che sembra tradire le promesse di quiete e liberazione immaginate da lontano –, il protagonista dovrà fare i conti con le derive del desiderio, provando a capire quale sia il suo posto nell'ordine geografico ed emotivo di questi anni irradiati di cortocircuiti tra reale e virtuale, tra immagine ed esperienza incarnata. Quando inizia una relazione con un ragazzo più giovane di lui e bellissimo, si sente finalmente dentro il cono di luce dorata della felicità: ama, ed è corrisposto. Eppure non basta trovarsi nel luogo che si è sempre sognato, non basta l'amore. Si è inchiodati a se stessi, in carne e ossessioni: per riuscire a occupare il proprio posto nel mondo non si può ignorarlo.
Anche per questa settimana è tutto.
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A presto,
Marta